Un anno fa, io e mio fratello eravamo a NY per il matrimonio di nostro cugino Sandor con la sua Darryl. è stata una vacanza meravigliosa, un modo di unirmi ancora di più con Claudio e a quel lato di famiglia che parla un’altra lingua, non ultima, nostra cugina Bianca. New York è una città pazzesca e mai avrei creduto potesse piacermi così. Durante quei giorni ho steso dei brevi e schematici report quotidiani che mio padre leggeva da facebook a mia nonna. Oggi mi sembra il caso di raccoglierli tutti qua, per il piacere di non perdere quei momenti bellissimi.
NY, giorno 1.
– Il jet-lag è quella cosa che anche se il giorno prima sei stata sveglia per 20 ore di fila, tu alle 5:30 hai gli occhi sbarrati.
– Alitalia indulge in overbooking ma il risarcimento è degno del miglior senso di colpa che ci si possa aspettare da un paese cattolico.
– Bagel con cream cheese is for girls, con cream cheese e bacon is for women.
– Bella la metro, bello tutto ma qua le linee non sono 2 e mezza: SVEJATE!
– Il MoMa è l’equilibrio: tutto è al volume giusto, nello spazio giusto e compreso nel biglietto (aka il guardaroba è gratis).
– Notte Stellata è come un elfo che fa “Dolcetto o Scherzetto?” alle porte del tuo cuore. Proprio lì, sotto il diaframma: se non apri sono guai.
– Jackson Pollock, invece, è quello che bussa un po’ più sotto. E non fa tante domande.
– Gli americani hanno una strana ossessione per l’Italia: il cibo, i drink, l’arte, la moda. Un po’ come gli italiani in fissa per l’America.
– Con il cielo azzurro e il sole, anche i grattacieli più austeri sembrano carini.
– Il Rockefeller è una gran bella pacchianata. Alla pista di pattinaggio ci sono le drag che pattinano con la borsetta. Un po’ come i centurioni al Colosseo.
– Halloween è una cosa dannatamente seria!
– Sulla quinta avenue c’è Zara di fronte a Ferragamo.
– A St. Patrick ti fanno entrare anche durante la messa e puoi girare alle spalle del prete che benedice le ostie. Poi dicono che gli irlandesi sono suscettibili.
– Grand Central Terminal è un posto che ti fa venire voglia di avere un foulard intorno alla testa e un grande amore alle spalle.
– L’atrio del Chrysler Building ti fa sentire Gatsby.
– L’atrio dell’Empire ti dice che o hai voglia di pagare 50 dollari o in cima non ci vai.
– La New York City Public Library è contemporaneamente immortale e bacchettona.
– A New York i negozi dove “tutto costa di meno ma si rompe subito” non sono cinesi ma dominicani e una spazzola la paghi un dollaro e 29.
– A Madison Square ci sono: un palazzo triangolare come una fetta di pecorino, un grattacielo con l’orologio che copia il campanile di San Marco, un Eataly e delle aree sui marciapiedi in cui si può godere di un tocco di “fresh air” perché è vietato fumare. In mezzo al traffico. C’è anche un Rizzoli Store con una donna in body e parrucca in vetrina che legge un libro sulle Drag.
– Mio fratello in un negozio di dischi è ancora capace di sragionare.
– Mio cugino è un ottimo padrone di casa.
– Da Katz’s c’è un cartello sopra il tavolo in cui Sally finge l’orgasmo ad Harry. Dice “spero tu prenda quello che ha preso lei!”. Il pastrami, immagino.
– Nei bar dell’East Village fanno i cocktail mescolando Braulio, Cynar, Strega e tutto il bar di nonna a Gin e Borbon come fosse una cosa normale. Di Vodka nemmeno l’ombra.
– Mio cugino ci chiama “Cuginos”.
– Dal ponte di Williamsburg, di notte, Empire e Chrysler sembrano guardarsi e non riuscire mai a rompere il ghiaccio. Sono teneri, tutti in ghingheri.
NY, giorno 2. (Ne ho da dire.)
– Il jet-lag passa quando gli pare a lui.
– Esordio stagionale del cappello di lana. È un freddo becco.
– Lower Manhattan battuta dal vento gelido è un filino inospitale.
– Il ferryboat per Staten Island è una cosa fighissima ed è gratis.
– Visto dal mare, il distretto finanziario mette un’ansia notevole. Tipo un alveare di vetro.
– Miss Liberty è davvero graziosa, messa lì in mezzo al mare con la sua torcia dorata e quel cappellino discutibile. Poi leggi che guarda verso l’Europa sprezzante e che sul basamento ci sono dei versi che inneggiano alla superiorità della libertà americana rispetto alle prigionie europee. Sai cosa? Fottiti, Liberty!
– Visto da dentro, il distretto finanziario non migliora. Sembra una gigantesca voliera di uccelli ingabbiati. Architettonicamente è un po’ come stare dentro un plastico di Vespa: Wall Street è in stile NeoRomanico mentre la Federal Hall è in NeoGreco. Oook.
– Il nuovo assetto del World Trade Center è concepito per dare serenità e ispirare buoni sentimenti ma non lo so, mi ha solo messo un’angoscia incredibile. Dove c’erano le torri ora ci sono due fontane quadrate sotto il livello del terreno. Due voragini immense a pochi passi l’una dall’altra. Se chiudete gli occhi e ci immaginate altri due palazzi giganteschi pieni di anime che macinano soldi, capite bene che di obbiettivi così non dovrebbero esisterne.
– Il One World Trade Center è il nuovo gigante di vetro sorto lì affianco. Ha un ascensore più economico dell’Empire e un osservatorio a 360gradi. Solo che l’ascensore è ultra tecnologico, fa 104 piani in 47 secondi e quando arrivi sembra di scendere dal Tagadà.
– In cima provano, in ordine, a noleggiarci un tablet interattivo per guardare il panorama, a farci una foto ricordo spalle a un poster del panorama reale e a venderci ogni tipo di merchandising. Come essere al luna park ma in tema 11 settembre e pace nel mondo.
– è da ieri che noto che nei bagni di tutti i bar e ristoranti c’è scritto a caratteri cubitali che il personale deve lavarsi le mani prima di tornare al lavoro. Davvero?!
– Essere a mezzo chilometro da un attentato e non accorgercene è una fortuna di cui siamo molto grati. Come sono grata a McDonald’s per il Wi-Fi gratuito e a tutti quelli che ci hanno avvisato e permesso di andarcene nel verso giusto, quello di casa.
– La capacità di New York di reagire a qualsiasi cosa ha dell’incredibile. Alle 7 Union Square è già l’anima della festa, con gente in maschera che muove allegra verso la parata di Halloween.
– La parata è un favoloso carnevale a cui può partecipare chiunque ne faccia richiesta, purché sia in costume.
– Tra gli altri, vediamo sfilare una decina di Waldo (quasi che se tutti quelli che non abbiamo mai trovato si siano radunati qua), delle splendide Wonder Woman latine che ballano la salsa e la Lesbian and Gay Big Apple Corps Marching Band che, com’è giusto che sia, suona e marcia cavalcando dei piccoli unicorni.
– Nel frattempo Sandor e Darryl ci riforniscono di dolciumi e alcolici. A New York bere per strada è vietato, per cui ci sentiamo molto fighi e trasgressivi.
– C’è un tizio con la pancia travestito da Flash. Ce lo immaginiamo che dice qualcosa tipo “un attimo e arrivo, eh!”.
– Finiamo la serata a bere margarita mangiando tacos e guacamole. Adoro.
– In metro incontro uno vestito identico a Bette Midler in Hocus Pocus. Il travestimento è talmente ben fatto che si è attaccato delle unghie finte sugli incisivi. Non è più strano di quelli che mettono il vestito da unicorno al cane. Halloween è una faccenda tremendamente seria!
NY, giorno 3. (Con calma)
– Si è dormito, finalmente!
– Fa freddino.
– Washington Square Park è battuto dagli universitari e dagli scoiattoli. I primi giovanissimi, gli altri pucciosissimi.
– Ovviamente di mattina i locali sono chiusi, perciò niente caffè al Cafè Wha? o allo Stonewall. Tra l’altro, lo Stonewall ha cambiato nome e pare davvero una bettola. Ma si sa: “le Rivoluzioni cominceranno sempre dal bar”.
– La gente va davvero in pellegrinaggio alla casa di Carrie Bradshow.
– La High Line è una cosa meravigliosa: una vecchia sopraelevata per il trasporto carni diventa giardino pensile affacciato sul fiume Hudson. Riqualificazione: la stai facendo benissimo.
– Il Whitney Museum lo ha disegnato Renzo Piano e ha delle terrazze affacciate sulla High Line e sul Village che tolgono il fiato. Dentro la curatela è davvero figa, in continua evoluzione. Da tornarci ogni due mesi, potendo.
– Seduto su un divano c’era un signore sulla sessantina con il cappello rosso calzato in testa. Io stavo leggendo il muro dietro di lui quando mi fa “you can make me a picture, if you want”. Rido, faceva ridere. “Where are you from?” We’re Italian, gli dico. I live in Rome. “My father was from Rome” e a quanto pare giocava a pallone a Santa Maria di Trastevere. Poi mi fa, lo giuro, “I like your t-shirt, LIBERATOW, it’s nice!”. Game Set Match.
(Chiaramente ho provato a chiedergli se votasse in Italia ma non ha capito. Così, la prima domanda che mi è venuta in mente.)
– Il Chelsea Market è il paradiso dei ciccioni. E degli spendaccioni. La t-shirt di LIBERATOW non è sopravvissuta a un ramen gigantesco.
– Il Ponte di Brooklyn è qualcosa fuori dal tempo eppure parte del tempo stesso. È lì affacciato sul mare, tenuto d’occhio dall’Empire e dal One World, che porta gente a casa. C’è un fiume di gente che ci cammina sopra, sposi che si fanno fotografare, ciclisti che sfrecciano e fanatici che si allenano per la maratona. È favolosamente vivo e pulsante, solido e senza tempo. Penso tutto questo e poi noto il cartello che vieta di appendere lucchetti. Moccia, ci hai provato ma qua non attacca.
– In America al ristorante il menù è accompagnato dalla carta dei cocktail. C’è anche il vino ma a 40€ la bottiglia conviene bersi un cocktail. L’acqua è sempre di serie, al posto del pane che invece non esiste. Comunque, sulla questione cocktail per cena ci stiamo integrando benissimo.
– è arrivata mia cugina! Ora siamo davvero tutti. Sandor e Darryl hanno due gatti meravigliosi, Liam è un siberiano di 10 chili, e Freddie Mercury è uno scottish fold tutto occhi e paura della vita. Ieri Freddie ha pensato bene di sparire perciò Sandor ha dovuto smontare un intero ripostiglio per trovarlo incastrato in un cassetto. Momenti di non trascurabile tensione.
– Gli americani fumano in purezza. Gli italiani, ieri sera, hanno perso malamente.
– L’autista di Über russo ascoltava i neo melodici russi, che soffrono un po’ più mestamente dei neo melodici napoletani.
– La gatta di casa si è innamorata di Claudio. Buongustaia.
NY, giorno 4. (Sbronzoli)
– colazione tradizionale a Williamsburg: colesterolo party.
– il fatto che ci sia Bianca abilita Claudio a fregarsene dei percorsi e me smettere di parlare inglese. Non va bene.
– il Guggenheim è meraviglioso. Da fuori. Il dentro è chiuso tutti i giovedì. Segnatevelo. Voi.
– Central Park è davvero un gioiello. Posticcio, pettinato, ma un gioiello, scoiattoli inclusi. E i newyorkesi lo sanno.
– le tempistiche di questa città fanno sì che siamo tornati a Brooklyn solo per pranzare. Tardi e con molta calma ma abbiamo solo pranzato.
– la gatta di casa si chiama Pixel e non vede l’ora di salirci sul letto e prendere quante più coccole possibile. La voglio.
– dopo 4 giorni di mezze docce ho presente cose fare per il mio compleanno: un BIDET PARTY, con tanto di cocktail a tema, il Saugella on the rocks. Amici barman, sbizzarritevi.
– Time Square è un posto che mette paura. Alle 8 di sera è letteralmente illuminata a giorno dalle pubblicità. C’è persino una tribuna in cui la gente si può sedere ad assistere. Non sono sicura di aver capito a cosa.
– Broadway è bello. Credo. Dentro.
– se hai pranzato con un burger polacco alle 3 puoi tranquillamente optare per una cena liquida a base di Gin.
– quando ci alziamo la nostra opzione è prendere la metro e bere l’ultimo in zona casa. I nostri piani si infrangono sulla metropolitana meno chiara del pianeta. Per citare Bianca, che vive a Chicago: “Da me le metro hanno i colori e gli autobus i numeri. Qui le metro hanno colori, numeri e lettere senza nessuna regola!” E senza continuità , aggiungo io.
– la mia vescica ci obbliga a riemergere dopo aver lasciato andare due treni della lettera sbagliata ma che in realtà erano sostitutivi del nostro.
– Claudio ha la lucidità di entrare in un pub totalmente a caso e sedersi al bancone. Scelta che mi salva la vita e che ci porta a bere l’equivalente di un’altra cena, dollaro più dollaro meno.
– l’area di noleggio di car2go praticamente non comprende Manhattan. Forse è meglio così.
– ho usato Über per la prima volta in vita mia. Potrebbe essermi piaciuto.
– domani abbiamo un matrimonio con l’open bar. Ciao lucidità, mi piacevi.
NY, giorno 5. (Il matrimonio – I’m gonna be maudlin)
– Williamsburg è un posto meraviglioso in cui vivere, passeggiare, guardare i ragazzi che giocano a basket e i bambini che tornano da scuola. Ha una dimensione e un respiro europei, degni delle migliori e più prolifiche province. Chissà quanta musica nasce in questi scantinati.
– Nei grandi magazzini del vintage e dell’usato non sempre trovi l’occasione, a volte la trovi ma non ti sta benissimo. Comunque, nel dubbio, quello che un ventenne chiama “vintage”, io lo chiamo “ciò che alle medie non mi stava bene”. La rivincita dell’autostima.
– L’ho fatto davvero: ho attraversato la strada e mi sono fatta pettinare nel salone dominicano di fronte casa, da Morena. Tutti parlavano sottovoce e si atteggiavano a gente seria sino a che non ho detto di essere italiana e di capire un po’ di spagnolo. Da lì, una faccia una razza.
– Non ero mai stata in anticipo per un matrimonio. Forse la pianificazione mi ha preso la mano.
– I miei zii sono bellissimi, così bilanciati tra le ansie e l’emotività della zia e la bonaria fiducia nel corso degli eventi di mio zio.
– Considerando quanti invitati di Darryl fossero al matrimonio, il Canada deve sembrare sotto popolato questo weekend.
– “Oh, you should be THE ITALIANS!” Yeah, here we are!
– Sposarsi in una cantina è una mossa notevole, bravi ragazzi!
– Al terzo bicchiere di Riesling l’inglese scivola che è una meraviglia.
– Il problema è l’italiano.
– Darryl è una sposa saggia: sotto l’abito aveva delle Vans brillantinate per non perdersi il divertimento, l’ho adorata!
– Finalmente un matrimonio equilibrato: due portate, un’ora di cena, vino a profusione e via a ballare!
– Essere cugini da adulti, con un oceano di distanza e riuscire ad esserlo come lo siamo noi è andare al di là delle previsioni dei nostri stessi genitori. Ci hanno cresciuti con l’intento di non perdere i rapporti con i nostri zii, nel cono di amore di due fratelli cresciuti insieme e ora lontani. Nessuno di loro sapeva immaginare che i loro figli sarebbero stati così uniti nei gusti, negli interessi, nella volontà ferrea di non perdere quel lato di famiglia oltre i viaggi da bambini. Sandor che si ostina a chiamarla Fiat Cinquecento e non Five Hundred, Bianca che non perde il suo buon italiano, Claudio che studia il menù del ringraziamento e io che mi sforzo di raccontare la più piccola cazzata dell’Italia in un inglese che non sempre mi assiste. Abbiamo ricevuto tutti e quattro qualcosa di un’altra cultura quando eravamo piccoli e abbiamo scelto di farlo diventare parte di noi da adulti. Ben oltre ciò che ci era richiesto, semplicemente perché abbiamo voluto esserci gli uni per gli altri. Non potevamo mancare a questo matrimonio e non è questione di rappresentanza, eravamo proprio noi a doverci essere. Non potevamo essere accolti meglio di così, è stato bellissimo. Thank you guys, it’s been special.
UPDATE. Ho dimenticato delle cose.
– Ho fumato una sigaretta elettronica al THC con un sessantenne pimpante che continuava a dirmi di ricordarsi di me da bambina. Weird.
– The Italians hanno fatto un figurone spegnendo le sigarette nel posacenere portatile. Uno degli ospiti era un pompiere ed è letteralmente impazzito.