Giugno 1993. All’ultimo piano della scuola elementare “Carlo Collodi” di Pesaro i 24 allievi delle quinta stanno sostenendo il loro primo esame.
La Maestra Paola, una signora dinamica e sempre elegante, li ha presi in consegna 3 anni prima.
In questi anni li ha visti crescere, aiutandoli a sbocciare. Ha insegnato loro a soffiarsi il naso e a modellare la creta, ha comprato crostate per spiegargli le frazioni, ha installato ogni sorta di schema alle pareti della grande aula, ha istituito la biblioteca di classe e li ha persino iscritti ad una specie di olimpiade della lettura.
Ha insegnato loro la grammatica, l’analisi del testo e, più di ogni altra cosa, a non iniziare a scrivere subito dopo la dettatura del titolo.
“Fate uno schema, prima. Capite cosa volete dire e fatevi uno schema. Usate un foglio in più. Solo allora, scrivete.”
È l’ultima classe che Paola avrà in via esclusiva: sono finiti i tempi del maestro unico, dall’anno prossimo dovrà dividersi gli onori e le responsabilità con un’altra collega, non avrà più la possibilità di incidere nella vita dei suoi piccoli in quel modo totalizzante che ha sempre conosciuto. Ci pensa, mentre insieme ad Ada e Agnese, le colleghe che insegnano nelle due quarte, dettano i titoli per il tema.
Ci pensa e si sente triste. Perché per questi 24 lei potrebbe garantire. Ha sempre saputo di avere una responsabilità ma non ha dubbi di averli messi su una buona strada.
Potrà dire lo stesso al prossimo ciclo? Saprà dividere i compiti con un’altra persona? Saprà trovarsi in accordo con altri metodi? Inutile dirlo, non lo può sapere.
Tra i 24 c’è C, che è la più piccola ma anche la più alta. Una bambina curiosa ed entusiasta.
“È davvero un personaggio importante per me!”
La Maestra Agnese sorride mentre guarda i bambini un po’ spiazzati da quel titolo insolito.
“…oppure lo è stato.” Li incoraggia benevola.
C non ha dubbi. Impugna un foglio bianco e inizia a elencare i punti che vorrà toccare nel suo scritto.
È un fiume in piena, non ha esitazioni. Scrive e rilegge senza sosta. Corregge, chiede consiglio alle maestre, creando una certa attesa. È tra le prime a consegnare.
“Porta la brutta copia alla mamma.” Le dice Paola mentre sta chiudendo la cartella. Ha lo sguardo lucido di commozione ma sorride.
C torna a casa a piedi e trova mamma ad aspettarla. Iva ha 35 anni e oltre a C di 10 anni, ha anche Claudio di 8.
“Ti ho portato la brutta così la puoi leggere.” Le sorride estatica C.
Iva prende il foglio benevola, legge poche righe e si fa seria. Scosta la sedia dal tavolo e si siede. Legge tutto di un fiato e nel mentre scoppia a piangere a dirotto.
Guarda C che la osserva preoccupata, la stringe forte e le dice “grazie” mentre la bacia dolce.
Iva ha 35 anni e da appena un anno ha perso la mamma per una brutta malattia. La cosa è stata molto veloce e forse non ha ancora metabolizzato quell’enorme dolore, troppo presa ad accudire il padre e a proteggere i suoi figli da tutto quel brutto che la vita non gli risparmierà.
Ed è mentre legge il tema della figlia che Iva si riscopre meno sola nella mancanza di sua madre Angela, che di C era la nonna. Evidentemente un personaggio importante per lei.
23 anni dopo C è Cecilia, che tutti chiamano Cioppy. È avvocato e addetto stampa, scrive di musica per una webzine. Ha un blog e le ali di un angelo tatuate sulla spalla.
Non ha ancora trovato un modo diverso dallo scrivere per raccontarsi se stessa e ciò che le succede. In fondo sa bene di non volerlo trovare.