La radio nella testa

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Emergo dalla metro all’angolo in cui via Veneto e le sue ombre si infrangono nella luce di piazza Barberini. Giro l’angolo schivando qualche turista. Chiudo il libro con una certa nostalgia, il biglietto dell’autobus trevigiano va ad appoggiarsi in un punto che sembra casuale, tra questi paragrafi schizofrenici su e giù per l’ordine delle pagine.

Libro del cazzo.

Non perdo tempo a cercare di rimetterlo in borsa. I Persol escono eleganti dalla custodia. Penso ancora che non siano quelli di luglio ma sono splendidi. Ogni mattina li perdono di nuovo.

Ogni tanto vorrei perdonare me.

Il semaforo pedonale di via Sistina è sincronizzato con quello che da piazza Barberini immette il traffico in via del Tritone. Posso anche evitare di guardarlo, è matematicamente certo che sia verde. La questione è se lo sarà ancora quando io sarò arrivata alla fine della piazza. Ogni giorno così: una muta gara con un semaforo e diversi strati di turisti curiosi, camerieri zelanti, qualche abito formale e la senzatetto con la parrucca, appollaiata sempre nello stesso punto. Pronti, via, inizia lo slalom. Sorrido lievemente, la tracolla verde con dentro i tacchi, le ballerine ai piedi, il naso all’insù e il libro in mano.

Cazzo, che libro.

La gonna nuova ha delle tasche profonde sui lati, l’iPod ci è sprofondato molti chilometri fa e il filo bianco risale sicuro verso le orecchie, contro il nero del panno e i fiocchi della blusa. Passo la fermata dell’autobus, non ho voglia di cedere alla pigrizia, posso scivolare giù per via del Tritone, specchiandomi di nascosto nelle vetrine. Nel pomeriggio ho un incontro formale, non ho voglia di essere meno che impeccabile.

Mi piace pormi obbiettivi ambiziosi.

Supero Sephora senza problemi, cercando nella mente l’importo esatto che ho speso al mio ultimo passaggio in cassa. Funziona meglio del pensare che non mi serve nulla.
In attimo sono a vicolo del Nazareno e ci sparisco dentro, come inghiottita dall’ombra tipica delle stradine. Al mattino è facile, non è intasata di turisti. Una volta ci ho visto Maurizio Lupi offrire una colazione a non so chi. E’ un angolino tranquillo. Prima che riesca a rendermene conto sono già a via del Pozzetto, spengo l’iPod e sfilo gli occhiali, il solito balletto del metal detector e del salire le scale con mille cose appollaiate nelle mani.

Se mi cade il libro perdo il segno e son fregata. Maledetto Cortazar.

Sorridere ai commessi che scattano in piedi, farsi aprire la porta dell’ufficio. Una routine uguale e mille altre, una cosa che ho imparato a sentire familiare, qualunque cosa mi aspetti al di là della porta, al di là di ogni arrivare in ufficio.
Persino oggi, che ciò mi attende proprio non riesco ad immaginarlo. Sperarlo. Temerlo.
Oggi, che è lunedì. Oggi che me la sono raccontata da sola, nella testa, oltre l’iPod e le vetrine, facendomi anche un po’ ridere. Riconoscendomi e volendomi bene. Oggi che sono, in fin dei conti, tornata quella di sempre, in un modo che mai prima.

Ciao. Ti spettavo. Accomodati.

Un pensiero su “La radio nella testa

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