di tutte le cose che è bene sapere di me, una in particolare risulta talmente implicita che finisco per non menzionarla mai: mi piace scrivere. è una cosa che faccio un po’ da tutta la vita, più o meno da quando all’esame di quinta elementare ho usato il tema come scusa per elaborare la morte di mia nonna, facendo piangere tutte le maestre. mi ero chiarita le idee, avevo fissato alcuni punti fondamentali di quella mancanza così dolorosa da essere impossibile da capire, specie a 10 anni. da lì in avanti, mi è stato chiaro che se avessi voluto capirci qualcosa della mia vita, l’avrei dovuta scrivere per spiegarmela.
oltre al blog e al mio incarico a DLSO, ogni tanto mi diverto con dei racconti che poi non finisco mai. ce n’è uno solo che abbia mai finito, l’ho scritto in treno, sulle note dell’iPhone, talmente avevo bisogno di raccontarlo. in realtà non è un granchè, io ci trovo dei difetti in quel testo, ma ha una notevole capacità di coinvolgere il lettore, me ne rendo conto e mi è stato detto da chi lo ha letto. dev’essere perchè i personaggi son costruiti bene o le dinamiche sono credibili, non saprei… fatto sta che riesce a far rimpiangere che sia finito, come se si volesse sapere come va a finire la faccenda, che di base, invece, è finita.
l’ho scritto due anni fa, ma ogni tanto torno a rileggerlo, pensando che potrei migliorarlo ma poi non ne ho il coraggio, perchè anche quel racconto, come quasi tutto ciò che scrivo, è servito a curare una ferita che ora non c’è più. che senso avrebbe andare a perfezionare qualcosa che il risultato perfetto lo ha già raggiunto?
la protagonista ama cucinare ed invita degli amici a cena. fin qui tutto bene, se non fosse che cucina cose che io non ho mai neanche assaggiato. me le sono inventate di sana pianta. più di tutte mi sono inventata l’insalata di arance e pistacchi, che sul serio non so da dove mi sia venuta l’idea!
qualche sera fa mi è successo di leggerlo. non mi era mai capitato di leggere qualcosa di mio a qualcuno che non fosse mia madre. lì per lì non è che mi sia sembrata un’idea tanto strana, in fondo era per una persona a me molto cara, con cui potevo sentirmi a casa. poi, mentre leggevo, mi son sentita scoperta: la voce con cui avevo sempre letto quelle righe ora risuonava in una stanza, per un’altra persona che la recepiva e poteva trovarvi qualunque cosa. ero inerme, l’unica arma delle mie parole contro il potere di qualcun altro di scegliere il valore da dargli. alla prova decisiva il mio sapermi spiegare, non messo con ponderazione nero su bianco, ma nell’immediatezza della lettura, tradotto immediatamente in distanza.
se capisce, la distanza si accorcia e le nostre sfere finiscono inevitabilmente per avvicinarsi un po’ di più. altrimenti ci allontaniamo ed è perchè io non mi sono spiegata, il mio mostrarmi non è stato comprensibile come credevo.
mi sono ritrovata a leggere e sentirmi nuda, di una nudità tremendamente vulnerabile: nuda dentro. ma anche atrocemente cosciente, presente a me stessa e alla mia debolezza.
così ho iniziato a riflettere. ho pensato che davvero io quella insalata lì l’avevo pensata senza averla mai nemmeno assaggiata. e che non era la pirma volta che scrivendo arrivavo a descrivere situazioni mai vissute e allora dovevo proprio essere una scema a non scrivere per tutto il tempo! la gente si droga per viaggiare con la mente e a me basterebbe scrivere, ma mi nascondo dietro la scusa del non essere abbastanza brava.
che ci vuole ad inventare una ricetta se fa schifo?
al supermercato ho messo i pistacchi nel carrello senza quasi accorgermene e stasera ho scoperto che quella maledetta insalata è deliziosa.
e che io son proprio stronza a volte.