Cara Catastrofe

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Il 14 ottobre 2010 vedeva la luce Cara Catastrofe, il primo singolo de Le Luci della Centrale Elettrica tratto dal secondo album, quello più difficile e quello che non passerà l’esame del tempo.
Per ora noi la chiameremo felicità era attesissimo: Vasco aveva aperto ad un linguaggio inedito, scarno e cruento, e tutti, non solo i detrattori, aspettavano di capire in che direzione lo avrebbe spinto.

La storia ci racconta che quel secondo disco non fu amato. Non tanto quanto il primo, come era ovvio che fosse, ma proprio in valore assoluto, di tutta la discografia de Le Luci della Centrale Elettrica, il secondo è il disco meno bello.

Cara Catastrofe, però, è un brano meraviglioso e non solo per la modernità che ancora si porta dietro (sì, c’è ancora gente che lavora e viene licenziata dai call center; sì, le catastrofi sono maledettamente attuali; sì, i deserti continuano ad avanzare; sì, continuano a fregarci).

Oggi Vasco ha celebrato i 10 anni di questo brano con un post che raccontava tutto questo, in poche righe in cui diceva di amarla ancora e quasi scusandosi con lei per tutto ciò che fu costretta a subire ai tempi dell’uscita.

Io le voglio un bene un po’ speciale, perché è grazie a Cara Catastrofe che alcune cose tremende della mia vita presero a migliorare, seguendo un crinale lento e inimmaginabile nel luglio del 2010, quando al Castello di Ferrara vidi Le Luci per la prima volta e feci un video dell’anteprima di quell’attesissimo brutto secondo disco.

Così oggi, mentre leggevo quel post di Vasco, mi sono ritrovata a cercare su Youtube quel video di Ferrara, con la curiosità di vedere con la lente di dieci anni dopo, quel ricordo così sgranato. Come vedere un Super8 di quando ignoravi che un giorno avresti messo il pezzo sopra del costume. E mentre ascoltavo quel video gracchiante con la tenerezza e la gratitudine verso il mio entusiasmo per le trasferte avventurose, mi è caduto sotto gli occhi un commento.

Mi sono trovata a sorridere. Probabilmente 9 anni fa avrei dato ragione a elmetzo. Quel disco mi deluse e ci misi tantissimo per decidermi ad ascoltare quel capolavoro di disco che fu Costellazioni. Poi chissà, dopo aver sentito Questo scontro tranquillo e aver riso da sola avrei pensato che le parole di elmetzo fossero state smentite sotto ogni aspetto e che Vasco avrebbe passato l’esame del tempo, che ce l’aveva fatta.

L’ho pensato anche con il disco successivo, quello con Profondo Veneto (che capolavoro!) che si chiude con Viaggi Disorganizzati, che se chiudi gli occhi la vedi srotoartisi davanti come una sorta di sigla finale, un Quarto Stato post moderno e ti si stringe il cuore davanti a questa marcia di disperati che altro non siamo che noi, generazione nata nel boom e divenuta adulta sulle sue macerie.

Poi, invece, Vasco si è sfilato da tutto, ha chiuso Le Luci e ora sta cercando di capire cosa fare, cosa diventare, che linguaggio usare. Si è tolto il marchio e si è preso del tempo. E questa cosa è talmente giusta e sensata che non lo so se passerà la prova del tempo o se sarà la volta che gli hater ante litteram come elmetzo avranno davvero ragione, ma so che questa parabola qua, con questa conclusione e questo finale aperto, così maledettamente simile alla mia, di parabola, e alle parabole di tanti altri come noi, sono la cosa meno borghese e vincente che riesca a pensare e qui dentro c’è tutta una generazione, che nessuno capirà mai davvero.
Mai così.

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