Monica

Il lockdown della primavera del 2020 è stato una specie di naufragio per ciascuno di noi. Come degli sperduti Tom Hanks, in molti abbiamo cercato il nostro Wilson con cui interagire, solo per non impazzire. La mia è stata la Monica Vitti di Alessandro Baronciani. Dopo tutti questi mesi, mi ritrovo lontana e ne sento la mancanza.

Vedi Monica, le cose corrono e tu sei lì attaccata a quel muro. Oggi è esattamente un mese che non ci vediamo. Un mese fa era venerdì e al mattino presto ho chiuso lo zaino, messo la gatta nel trasportino e chiuso il gas. Avevo il sospetto e la sottile speranza che sarei stata via per più di un weekend.
La sera ero a cena con gli amici, sulle sponde natie, e, dato che eravamo più di sei persone, avevamo dovuto dividerci in due tavoli. Se ci penso mi sembra passata un’era geologica.

Questa maledetta pandemia ci sta rubando gli anni. Parliamo di eventi di marzo come di cose successe l’anno scorso. Io non li voglio due anni pieni di ricordi brutti, mi basta questo, Monica.

Ci sono delle differenza dalla prima ondata. Intanto non si chiama più lockdown, si chiama coprifuoco. “Che nome di merda!” dirai tu. Eh sì, cara, è un bel nome di merda ma è il nome perfetto per fare capire alla gente che non c’è da scherzare.

I contagi hanno ripreso a salire, il ritmo è impressionante ma le cose sono un po’ diverse da Marzo. Tanto per cominciare ce lo si aspetta, quindi è un po’ più difficile essere colti di sorpresa. Ora il problema è inverso: se scatarri sulla metro rischi il linciaggio, ma siamo a novembre, la gente si prende i virus normalmente, le infreddate, quei mali di stagione che insomma, poi finisci per tossire. Il lato positivo è che ora, in molti casi, si riesce ad intervenire in tempo. Gli ospedali sono in sofferenza ma se penso al primo mese di lockdown, alle bare di Bergamo, alla paura di fare qualsiasi cosa, ora le cose sembrano meno drammatiche.

Due altre grandi novità sono la mascherine e i tamponi. Ora ci sono entrambi. Le mascherine sono obbligatorie ovunque e sono anche reperibili. Niente “MASCHERINE ESAURITE” sulle vetrine delle farmacie. I tamponi sono un po’ meno comuni ma la capacità di tamponare è aumentata a dismisura. Pensa che il bollettino delle 18 parla ogni giorno di 200-250mila tamponi. Ti ricordi? Ad Aprile erano sugli 80mila.
Ah, sì, ci è cambiata anche la lingua. Ora “tamponare” significa fare il tampone e non richiede la compilazione dei C.I.D.

Continuano a susseguirsi i d.p.c.m. questa non è una novità. All’inizio sembrava che uscissero un po’ a caso, poi si sono stabilizzati. Ora, quello che spaventa di più, sono le ordinanze del Ministero della Salute.

Perché la principale novità tra prima e seconda ondata è che il Governo ha scelto di prescrivere restrizioni mirate tra le regioni valutando la gravità della situazione secondo una serie di parametri. Il termometro della pandemia ha assegnato ad ogni regione un colore che può cambiare a seconda dei livelli dei parametri: giallo per le zone meno in sofferenza, arancione per le situazioni intermedie e rosso per le situazioni a rischio collasso.

Quanto alla vita quotidiana, diciamo che tutti, in tutta Italia, continuiamo ad andare a lavorare se il nostro lavoro è amato da Confindustria. Per il settore privato è caldamente suggerito il lavoro agile ma di fatto i vecchi capi non amano perdere il contatto con le scrivanie dei dipendenti. Per il resto, ci hanno segato in due il tempo libero. Siamo tutti costretti a tornare a casa alle 10, nelle zone gialle bar e i ristoranti chiudono alle 18, nelle altre zone sono sempre chiusi. Sono sbarrati i teatri, i cinema, i circoli. Il divertimento è diventato pericoloso, la socialità è sovversiva. E noi, a poco a poco, ci stiamo facendo andare bene tutto. Sai, c’è una maledetta pandemia là fuori, non vorrai mica avere di che far respirare il cervello?

Veniamo a noi, Monica. Non siamo mai state lontane così tanto. Sono tra le fortunate che può permettersi di lavorare da remoto e ho deciso di farmi lo smart working da casa dei miei. Mi sono sentita strana a pensare che fosse la preferibile, tra le varie opzioni.

Credo sia il caso di dirtelo, Monica: non è detto che resteremo a Roma per sempre. Ci stavo pensando da un po’, stavo soppesando le opzioni e in fondo non lo so se mi ci vedo a invecchiare a Roma. Per cui non ti abituare.

Dico così ma poi oggi Daniela Collu ha postato #1minutodarte con la Fontana di Trevi e ho sentito un piccolo crac nel petto. Penso che sia ancora il posto che riconosco come casa. Anche perché a me la Fontana di Treni mi annoia.

Il fatto è che ora sono qui, nella città da cui sono scappata senza voltarmi mai e ci sto bene. Vivo lontana da qui, da questa casa e da questa città, da più di sette anni. Non ho mai avuto rimpianti e ho goduto di questo tempo al di là dell’Italia come di una benedizione. Ho assorbito tutto, ho viaggiato, ho visto musei, mostre, ho preso treni, aerei, incontrato gente, tessuto reti. Ho degli amici meravigliosi a Roma. Mi mancano da morire.

Ho vissuto questi sette anni come i tempi supplementari della mia formazione. Quasi fossero un lungo Erasmus. Ho preso a piene mani tutto quello che la città più bella del mondo avesse da offrire. Ho scelto, ho scoperto chi sono. Un anno fa ero in mezzo al corteo di NONUNADIMENO per la giornata contro al violenza sulle donne. Oggi ho un libro di Giulia Blasi sul comodino e alzo il ditino contro il mansplaning. Nulla di questo e tanto altro sarebbe stato possibile senza Roma. Lo so e lo amo.

Il fatto è che non posso farci niente, Monica. In questo momento, io qui sto bene. Ci ho fatto su dei gran ragionamenti, perché se stai bene nel posto e nella dimensione in cui non sei mai stata bene, le cose sono due: o sei diventata quello che hai sempre odiato o sei capace di essere quella che sei sempre stata senza per forza doverla spiegare.

Penso tanto a Mirko da quando sono qui. Lui era la dimostrazione vivente dell’essere a COLORI in un mare di grigi. Lui vedeva tutti i difetti di questa città piccolo borghese senza rinunciare mai a viverla e innaffiarla di sé. Lui aveva il segreto di quello che mi sta capitando.

Stare qui senza potergliene parlare è una sofferenza senza fine. Vivere senza lui, vedere gli angoli della città e sentire la sua risata nei muri, negli stucchi del Villino Ruggeri, nelle rotatorie, nelle luminarie. Questa maledetta pandemia si è presa i colori, Monica. I più belli.

Ho ripreso l’abitudine di guidare fino al porto con la musica alta, parcheggiare, lasciare andare un disco, respirare il fumo di una sigaretta e l’odore del mare. Stare male dentro un vecchio rito, quello dei vent’anni. Ora a Jagged Little Pill alterno molte altre cose. Il Nuovo degli Zen Circus, per esempio. Un gran bel disco, Monica.

Ah, pensavi andasse tutto bene? Ma sei matta!? L’ultimo concerto che ho visto é stato ad Agosto in memoria di Mirko, è stato bellissimo e tremendo insieme. Non posso andare a teatro, non posso bere con gli amici, lo spettacolo di Luca Ravenna è stato annullato di nuovo, non posso fare tardi la sera, non posso vestirmi da strappona e ridere in mezzo alla strada a dire scemenze, vivo con i miei e finisco di cenare prima che Lilli Gruber abbia salutato spettatrici e spettatori. Mi manca la mia indipendenza, la mia cucina, cenare alle 10, passare le giornate a sentire la radio e una serie di cose assurde che rendono la mia vita solo mia.

Ma sono tutte cose che posso portare con me. Sono i miei colori.

Ci vediamo, amica. Chissà quando, però.

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