Tavolo per uno

Porta Palazzo divide il Quadrilatero e Borgo Dora. In pratica il centro storico radical chic e il quartiere multietnico per eccellenza. La stessa Porta Palazzo parla tutte le lingue del mondo.

I vicoletti lì intorno sono pieni di ristoranti minuscoli. Due stanze, tavolini pieghevoli e tovaglie di carta dalle fantasie ricercate. Una filosofia del cibo fintamente cheap ma realmente genuina: menu corti, piatti semplici e buoni ingredienti. Spendi il giusto e mangi buono.

Tra questi c’è Ciccio Paranza, uno di quelli che normalmente invadiamo con i compagni di scuola: una chiassosa dozzina di gente munita di trolley, avvolta in sciarpe che neanche fossimo sulle Dolomiti. Abbiamo dai 30 ai 70 anni e parliamo tutti gli accenti immaginabili. Siamo multietnici anche noi, in fondo. Ogni volta facciamo casino con le ordinazioni, colonizziamo il locale, ci stringiamo molto e ci divertiamo.

Oggi ero sola e ho deciso di andarci a mangiare.

Non andavo a mangiare da sola dalla prima settimana a Roma, cinque anni fa. Avevo un bed and breakfast a San Pietro e non conoscevo nulla di quella grande città. Mi ricordo che un signore due tavoli più in là mandò il cameriere a dirmi che voleva offrirmi da bere. Nel dubbio rifiutai e le sere successive trovai un altro modo per cenare.

Ogni volta che vado a cena con nonna, lei guarda quelli che sono da soli al ristorante e mi sussurra cose tipo “Io non ce la farei, mi mette troppa tristezza il ristorante da sola. Guarda: una volta avevano il giornale ora passano il tempo col cellulare.

Quando mio fratello lavorava fuori, spesso la sera mi chiamava dal ristorante dopo aver ordinato e parlavamo per tutta la cena. Non so se ho più chiacchierato così tanto con lui.

Oggi da Ciccio Paranza mi sono venute in mente tutte queste cose e ho avuto un po’ paura. Ho scelto il tavolino in un angolo, ho ordinato anche un bicchiere di vino, ho guardato fuori dalla vetrina un passeggio molto rado. Il proprietario di là ha detto alla cucina che “il 4” poteva andare e ho capito che “il 4” ero io perché so, da quando facevo la cameriera, che i tavoli si numerano dall’ingresso della sala.

È stato tutto molto facile, in realtà. Ho aperto il bel libro che sto leggendo e mi sono lasciata portare a Phoenix a casa di Nick, mentre mangiavo frittura al 4.

Nel giro di poco anche il 5 e il 6 sono stati occupati da persone a tavola sole. Me ne sono accorta molto dopo, in realtà. Negli altri tavoli delle coppie. Tutti parecchio più grandi di me.

Non importava a nessuno. Si stava bene, non era né caldo né freddo e il pranzo infrasettimanale è scontato del 20%. Fuori, Porta Palazzo viveva frenetica e colorata come sempre.

Alla fine, Torino, ti sei presa anche questa paura.

PS: il caffè, però, da Ciccio Paranza è una chiavica. Il caffè buono lo bevi da Pastarell, in piazza XVIII Dicembre. E siccome sono napoletani, ti ci mangi anche una frolla mignon che profuma di estate e non fa ingrassare (non contradditemi, non voglio sapere che non è così).

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