Quando sono entrata per la prima volta in un’aula di Giurisprudenza era la fine di settembre del 2001. Nel giro dello stesso anno avevo preso la patente e la maturità e ora cominciavo l’università. Con il culo che mi ha contraddistinto, dopo essere stata la prima ad affrontare l’esame di stato in tutte le materie, in 100esimi e con i commissari esterni, ero anche tra le prime ad affrontare la riforma universitaria del 3+2.
Per laurearmi al triennio avrei dovuto dare 35 esami, gli stessi che servivano per la vecchia laurea, gomito a gomito con gli studenti del vecchio ordinamento che il più delle volte avevano il nostro stesso programma. È quello che succede quando provi a dire alla più retrograda tra le classi di docenti che deve evolvere e deve snellire un corso di laurea che è uguale a se stesso dal ventennio. Ad oggi, per capirci, non esiste più il 3+2 a legge, ci si laurea one shot in 5 anni.
Noi tutto questo non lo sapevamo. Non sapevamo niente di niente perché sostanzialmente eravamo dei diciottenni ignoranti e scemi come la merda. Pochi, pochissimi di noi avevano idea di cosa fossero venuti a fare. Ancora meno quelli che avessero idea di cosa fosse il “diritto”, perché è la cosa su cui si regge la nostra società ma nessuno lo insegna a scuola.
Il primo giorno del primo semestre del primo anno la Facoltà di Giurisprudenza ti offre privato e costituzionale.
E visto che eravamo a pochi giorni dal referendum per la riforma del Titolo V, costituzionale non poteva cominciare con la canonica lezioncina sulla magnificenza della Carta.
Restava diritto privato. Il temibilissimo diritto privato.
Davanti a noi, menti implumi, un azzimato professor Ferroni ci accolse con la consapevolezza del vecchio ghepardo, pronto a dirci cosa fossimo venuti a fare.
Qual è il ruolo del diritto? Come nasce una norma? Cosa c’è dietro una norma? Perché è importante la ratio di una norma? Esistono fattispecie che sfuggono al diritto? Ci dev’essere una norma scritta per ogni potenziale fatto della vita reale?
Una serie di interrogativi che nessuno di noi si era mai posto, avendo, per lo più, esperienza di due soli tipi di normativa: il codice della strada e il catechismo, qualche anno prima. (Sì, non ho detto che fossimo dei fighi).
Nel mezzo di una lezione che si faceva beffa delle nostre capacità cognitive introducendo un glossario di termini mai pronunciati e una dialettica da lezione di filosofia, cominciavamo a scoraggiarci.
E fu lì che Ferroni ci spiegò, come un vecchio stregone, che il diritto era materia viva, che si plasmava sulla realtà prima ancora che questa si plasmasse su di lui. Che il diritto privato conteneva sostanzialmente tutti gli strumenti per la gestione della vita di relazione delle persone, che era invadente e sfacciato.
Perché il diritto privato entrava nelle camere delle persone.
Un esempio? Il diritto privato era potenzialmente pronto ad affrontare tutte le vicende legate alla nascita delle persone e ai CINQUE soggetti coinvolti nella dinamica.
Silenzio.
Ebbene sì, per fare un bambino servono 5 soggetti ed è il diritto che li separa, li riconosce o li disconosce, li pone in relazione e gradua le loro responsabilità. A tutti e 5 anche se, occasionalmente, spesso, riuniti in due: madre e padre.
Perché il diritto è potenzialmente sovversivo e il Professor Ferroni, dal suo completo di tweed, ci stava chiamando a osare. A pensare oltre la biologia e quello che eravamo abituati a immaginare.
Negli anni a seguire, di slanci coraggiosi come questo ne avremmo avuti davvero pochi, purtroppo. Ma ancora mi piace ricordare che il primo giorno a giurisprudenza mi spiegarono che per fare un bambino servono cinque persone, sovvertendo tutto ciò che conoscevo come certo.
A farlo è stato il Professor Ferroni, che qualche giorno fa è mancato e a cui devo un po’ della mia voglia di dubitare delle cose.
esatto. inizi che non sai nulla di ciò che ti aspetta, finisci che sei quasi avvocato e intanto scopri che avresti preferito fare il chirurgo. è fantastico tutto ciò.