molleggiatissimo

Sono arrivato un giorno di gennaio e le ho subito voluto bene. Non tanto per la grazia che ha messo nel liberarmi dalle cinghie con cui avevo viaggiato, né per l’attenzione con cui mi ha mostrato il mio posto. Le ho voluto bene per l’entusiasmo con cui mi si è buttata addosso: felice di avermi lì. Quanti elementi di arredo possono godere di un tale affetto? Credetemi, io ne so qualcosa: pochi possono vantare l’entusiasmo con cui sono stato accolto io.

So che sembra sciocco, ma provate a capirmi. Se il tuo lavoro è dormire con le persone, è un bene che queste persone siano felici di vederti arrivare, no? E lei lo era. Felice.

Mi ha fotografato e ha scritto ai genitori del mio arrivo. Poi mi ha infilato la divisa e si è gettata nuovamente addosso a me. Lo ha fatto con una soddisfazione piena, scandendo il tempo in ampi respiri, le membra tutte abbandonate, fino alle estremità.

Così è partita la nostra convivenza. Nel corso degli anni ormai ho imparato a conoscerla e capisco dal modo in cui mi si getta addosso che tipo di giornata ha avuto. Perché lo fa ogni sera: entra in casa e si getta su di me. Poi riparte, quasi sempre nel giro di pochi attimi, a volte ci mette un po’ di più e resta lì, con le scarpe a penzoloni, il cellulare sorretto dalle lunghe braccia, a gironzolare in realtà virtuali, scappando dal presente e dal qui. Potrebbe passarci le ore: la schiena che si scioglie addosso a me e la mente che va.

Negli ultimi tempi non ci siamo visti tanto, ha viaggiato molto e conosciuto altri colleghi. Nessuno che le piaccia quanto me, ne sono certo. L’ho capito da come torna a casa la domenica sera, dopo l’ennesimo weekend fuori. Il modo in cui mi permette di avvolgerla e sorreggerla, la libertà che mi concede di accogliere il suo riposo in maniera piena, come una resa. Le sono mancato, è il suo modo di dirmelo.

Ma non mi fa sentire trascurato, eh. Il nostro è un rapporto molto profondo, costruito sul rispetto reciproco. Mai che posi una valigia su di me, mai che mi lasci scoperto al mattino. Ogni tanto qualche borsa, spesso la spesa, sempre la biancheria pulita. Al resto trova un altro posto, salvo per la tavoletta su cui posa il portatile. Pare che quella sia fatta apposta per stare sopra di me e allora la si può lasciare lì, nell’angolo opposto alla testa, giorni e notti intere.

Ci vogliamo bene, noi. E non lo dico solo perché ha deciso di portarmi con lei anche quando ha cambiato casa. Quello non è stato un momento facile. Ogni sera tornava da me e per quanto mi sforzassi non mi riusciva di scioglierla davvero. Restava rigida, costantemente pensierosa. Poi riceveva la solita telefonata ma non era più come prima, no. La telefonata la irrigidiva ancora di più, le cambiava la voce, a volte la feriva, spesso la annoiava. Eppure continuava a rispondere.

Il giorno del trasloco, ho conosciuto suo papà. Me lo ha buttato addosso mentre mi piegavano in due. Poi entrambi mi hanno portato nella nuova stanza. Un posto molto silenzioso, con una bella luce. I giorni a seguire non sono stati semplici, neanche per me. Sono rimasto quasi due settimane accartocciato addosso alla parete, mentre la guardavo svegliarsi con un altro, sempre di pessimo umore. Ogni giorno le leggevo in faccia la lista delle cose da fare, mentre le appuntava sul cellulare e si preparava. Sembrava sempre più stanca. Ma è stata forte, alla fine ha trovato un posto ad ogni cosa, si è liberata delle scatole e mi ha rimesso al mio posto. Così abbiamo ricominciato a fare le nostre cose insieme.

Sì perché mica dormiamo solo noi. Guardiamo i film e intanto mangiamo pizza, o sushi, o una di quelle cose che si cucina lei con grande cura. Ha un modo di sedersi che è un po’ impertinente, eh. Per fortuna non sono di quei modelli con la memoria lunga, se no avrei un buco in fronte. Ammucchia due o tre cuscini alla parete e ci appoggia la schiena. Poi appoggia i piedi su di me e finisce per conficcarmi i fianchi dentro, tutti quanti, dal sacro agli ischi. Non è ossuta eppure si conficca nelle mie molle, non è sempre facile. Per fortuna ogni tanto mi gira, così non corro il rischio di rovinarmi. È molto attenta a me. E anche fiera, direi. La sento quando mi divide con qualcuno, un po’ inorgoglita di potergli offrire un riposo che lei definisce “perfetto”.

Mi piacerebbe lo fosse anche per lei, un riposo perfetto, ma non posso far miracoli. Ha la testa pesante, fa sogni strani e agitati, ultimamente più che mai. Mi sono rassegnato all’idea che più di così non posso aiutarla, mi basta che sappia che potrà tornare da me in qualunque momento e mi troverà pronto ad abbracciarla e a fare di tutto per alleggerirle i pensieri e le membra. Là fuori è sola, senza di me. Ma lei è una forte. Io lo so. L’ho sentita ridere e credetemi: è uno spasso quando ride!

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