è partita la XXXIII edizione del Rossini Opera Festival, che tutti amorevolmente chiamiamo ROF.
Ora, per dirla con assoluto candore, io di Opera ne capisco assai poco, nonostante di Rossini sia concittadina. La mia città natale, che tanto disdegno, ospita un conservatorio, un teatro ed una fondazione dedicate al famoso compisitore, nonchè essersi distinta per diverse citazioni più o meno pop, non ultima la pizza rossini, che ora qui non mi soffermo a spiegare. (non ne vado matta, ma una ogni tanto, devo riconscerlo, mi piace!)
In ogni caso, un po’ per ignoranza un po’ per qualunquismo, il mondo della lirica mi è sempre stato estraneo, sino a che, quanche anno fa, non mi hanno invitato a vedere una Generale. Si chiamano così le prove generali, che di fatto, se si eccettua l’orchestra vestita in borghese, sono veri e propri spettacoli identici in tutto e per tutto alla prima.
Il fatto è che i biglietti per le generali sono quelli abbordabili, la maggior parte sono offerti a prezzi simbolici a coloro che con l’ente ROF ci collaborano. Recentemente è intervenuta da big BOTTA DI CULO che ha portato mio padre a collaborare per lavoro con l’ente produttore di quella che è la rassegna rossiniana più prestigiosa del mondo (non è un caso che la gran parte delle pagine di wikipedia su Rossini citi il festival pesarese come parametro del successo di un opera in epoca moderna).
Per cui anche quest’anno il mio calendario eventi ha subito un piccolo corto ciurcuito, ho messo in stand by le t-shirt e gli shorts, ho sfoggiato gli abiti migliori e le clutch più classiche (giovedì avevo la pochette vintage di nonna, quella con la chiusura in argento: scuserete!) per dedicarmi qualche ora a della Cultura con la C maiuscola, ancora troppo elitaria e costosa per poterla snobbare quando c’è l’occasione di fruirne gratis.
Le opere in cartellone sono 3 ogni anno. Questa XXXIII edizione prevede un riallestimento del 2004, Matilde di Shabran, e due nuove produzioni: Ciro in Babilonia e Il Signor Bruschino.
Papà s’è tenuto i biglietti per il Ciro, che pare fosse anche quella più prestigiosa, dato che la prima è stata addirittura trasmessa in diretta su Rai5. Io ho visto le altre due.
Di Matilde di Shabran bisogna dire che è stata l’opera, non certo tra le più celebri storicamente, che ha lanciato sulla scena internazionale un grande tenore: Juan Diego Flores, proprio qui, al ROF, nel 1996. Capirete che orgoglio per l’ente poterlo ospitare di nuovo, con la sua creatura. Il problema della Matilde è che è decisamente un’opera troppo lunga o, se vogliamo, poco coinvolgente. Il tenore del racconto è piuttosto solenne, ricorda i grandi drammi d’amore, come Otello, se nonchè qui almeno c’è un lieto fine. Flores interpreta Corradino, il cattivone, il cerbero signore misogino che cede all’amore per la bella Matilde e finisce per diventare più buono, nonostante i tentativi di una contessa acida per farlo ricredere sulla genuinità dell’amore di lei. La durata del drammone sfiora le 4 ore: è stata dura. Fame, sete e sonno (non necessariamente in quest’ordine) hanno rischiato di prendere il sopravvento sulla mia concentrazione. L’aspetto assolutamente sublime di questa opera, oltre alla presenza nel cast un’altra super star di livello internazionale, il baritono palermitano Nicola Alaimo nel ruolo del dottore Aliprando (io non capisco NULLA di belcanto, ma lui è stato magnetico, lo giuro), sono la regia e l’allestimento. I personaggi si muovono in una scena che è imponente e cupa, essenzialmente scarna ad eccezione di due mastodontiche scale di ferro concentriche che ruotano su se stesse, offrendo svariate possibilità sceniche. Visivamente uno spettacolo meraviglioso, con il coro dei villici che introduce l’opera entrando in scena dalla platea.
Il Signor Bruschino l’ho visto da un palco di secondo ordine. Affianco a me, accompagnata da mamma e papà, c’era una bambinetta splendida nel suo abitino bianco, con degli enormi occhi azzurri e tra il sì e il no la capacità di leggere l’italiano del sussidiario, non certo i sovratitoli tratti da un libretto del 1800. Del Bruschino bisogna dire che storicamente fu un fiasco spaventoso, pur essendo una di quelle opere leggere e divertenti che a Giogiò venivano tanto bene. (tecnicamente: farse)
Devo dire che ero piuttosto scettica e che i primi 10 minuti ho seriamente pensato di essere di fronte ad una colossale cagata. C’è dell’azzardo in questa regia curata da Teatro Sotterraneo, una compagnia molto immaginifica. Rossini diviene il protagonista di un parco a tema, dove ogni opera altro non è che un’attrazione ed i cantanti, vestiti con dei costumi grotteschi che altro non sono che la caricatura del costume ottocentesco, mettono in scena la farsa con lo scopo di divertire i visitatori, tra un souvenir e una bibita. Il risultato finale è sorprendente, coloratissimo e tanto divertente. Alla fine dell’ora e mezza di farsa, la splendida voce di Maria Aleida, duettando con il sublime Roberto de Candia e con l’esordiente (in termini di presenza al ROF) David Alegret, ottiene il duplice risultato di divertire tutti i presenti e di far rimpiangere all’adorabile seienne al mio fianco che sia “già finita“: APPLAUSI.
In sostanza, ogni volta che vado all’opera, mi rendo conto che ad avere i soldi e un minimo di passione più, arrivare a capirne qualcosa sarebbe davvero interessante e che sia quasi uno spreco che tantissimi miei concittadini ignorino una manifestazione così prestigiosa (esiste il loggione, non è prenotabile e i prezzi sono abbordabili).
Quando poi vedo la quantità di energie profuse in ogni singola rappresentazione ed il numero di persone che servono affinchè la macchina lavori, mi rendo più che mai conto di quale grandissimo danno sia stata per eventi come questi la drastica riduzione delle sovvenzioni statali. Visto da fuori si può pensare che un biglietto che superi i 100€ debba di per sè ripagare l’intera manifestazione. Quando però si realizza dal vivo quante persone (e con quale professionalità) calcano il palco, popolano la buca dell’orchestra e lavorano o hanno lavorato dietro le quinte, ci si rende conto che anche un teatro completamente gremito (cosa che, per fortuna, non manca) non è in grado di far fronte alle spese che un tale livello di eccellenza pretende. E, detto da assoluta profana, è un autentico peccato.
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