in subaffitto

che te ne stai lì nella tua vita, a cercare di capire un po’ di cose, ma nel modo di capire che è più tuo, quello impazzito e schizofrenico. che ferma non ci sai stare e alla fine giri così veloce da sembrare immobile. che forse un po’ immobile lo sei davvero e tutte quelle energie non sai bene come e perchè ma le hai lasciate andare, immesse in progetti immaginari. che il coraggio di renderli reali non lo hai mai avuto davvero.

e forse è tutta una questione di coraggio, che così presente non lo sei mai stata. il coraggio è fidarsi di sè, lo hai imparato. lo riconosci il coraggio, quando lo incontri, lo ammiri, ne resti abbagliata alle volte. che poi nessuno lo chiama coraggio se non tu che hai paura di averlo e allora gli dai un nome grandioso. è tutta una questione di felicità, il coraggio, di saperla riconoscere. e di fidarsi di quel che riconosci. che troppo spesso la felicità è riconoscibile solo a te che la vedi di sfuggita e se nemmeno tu la riconosci, bè, ciao, se n’è andata e non la riprendi mica.
che poi la felicità non ce l’ha una faccia, che allora potresti aspettartela. non ha neanche un fiore all’occhiello o una maglietta rossa. la felicità non lo sai com’è finchè non la incontri. devi essere svelta. e credere di averla riconosciuta. credere che sia davvero lei. buttartici come da una scogliera convinta che là sotto ci sarà l’acqua ad aspettarti.
credere nella tua “vista”, che poi vista non è. è il cuore, che ha occhi incerti ma una voce molto alta. e allora devi diventare un po’ cane, captare gli ultrasuoni di quel cuore bastardo e capire cos’ha da dirti. altrimenti rimani seduta per tutta la vita. e ci pensi ad una vita in panchina, una vita a guardar giocare gli altri. tutta la vita sulla riva ad attendere l’onda perfetta. e buttati Cristo! galleggi. galleggiano tutti.
che ci pensi a certe cose e la cosa straordinaria è il quando ci pensi. il momento in cui ti viene in mente che ti manca qualcosa, che non stai davvero facendo abbastanza. quando vedi Pirlo fare il cucchiaio. seriamente, che cos’era quello? in termini di udito, quello è un orecchio assoluto, altrochè. come ti viene in mente di tirare un rigore così? come ti esce dai piedi una tale leggerezza? è la totale assenza di paura, è il coraggio. che forse non è altro che essere presenti a se stessi. sapersi.
che continui a pensare ad una serie di cose che girano tutte intorno allo stare in panchina in cui hai trasformato la tua vita. e una mattina sei in hang over terrificante e i racconti portano ad una canzone nuova, scritta da una penna nuova, una che non ti aspetti in effetti. che non è tu sia così lucida da ascoltare proprio tutto, in certe mattine gonfie di parole dall’alito pesante. che però ci sono parole che ti rimangono in testa: racconti di aureole di schegge, di porte sfondate, di donne che lasciano basiti uomini che si lasciano sfondare la vita e il cuore. donne che non sei. ci continui a pensare. che poi è anche il senso di dire che abbiamo un cuore anche noi ragazzone. che la testa aveva iniziato a girare fortissimo un’ora prima e le connessioni di dentro non le sai dire fuori.
che la felicità è forse questa. è alzarsi dalla panchina o dal divano. è un “mi farò male… e allora?!”. il rischio di pagarsi un affitto da soli e non subaffittare la felicità altrui. mettere le tue energie per i tuoi progetti. come quella volta che ti è esploso un racconto nelle mani ed è nata la faccenda dei “che” e non te ne liberi più. che quella volta eri davvero tu. che sei stata coraggio per una volta. che poi lo sai che se lo riconosci è perchè ce l’hai da qualche parte. che ora ti alzi, vero?

5 pensieri su “in subaffitto

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