729 giorni fa pioveva. Me lo ricordo il grigio di quel mattino mentre guidavo sulla statale, il mare al di là della ferrovia era imbestialito. Avevo udienza fuori città: ricordo il fascicolo sul sedile e l’avvocato di controparte che mi credeva già collega. Ricordo i testimoni. I piedi nel mezzo tacco della mezza stagione, nonostante giugno.
729 giorni fa era un lunedì, quello a seguire una festa domenicale. Era stata una bellissima festa, quella di due anni fa. Anche per me in fin dei conti, almeno sino a che non ero stata scaricata. Una manciata di parole nel mezzo di tutt’altro discorso a sugellare l’incolmabile distanza tra le mie speranze e la realtà. Poi c’era stato un vuoto più sensoriale che emotivo. Non me ne ero andata, ero rimasta dov’ero, impassibile ma ancora sorridente, ancora divertita, ancora lì pur non più reattiva.
Lo stato in cui mi ero svegliata il mattino dopo di buon’ora, indossando una qualche combinazione collaudata di giacca e pantalone per una sorta di rituale anch’esso collaudato. Ricordo malamente la fila dal giudice, il saluto al “collega”, i corridoi delle cancellerie e gli appunti delle cose da fare.
Ciò che non dimentico è il momento in cui mi è mancato il fiato e quei corridoi sono diventati invibili. Ricordo quelle parole comparirmi in mente come una diagnosi di ciò che mi stava capitando: CREPA NEL CUORE. Una invisibile didascalia al panico che mi stava assalendo.
Il mare dall’altro lato, risalire la statale con il respiro corto, le mani che tremavano e il telefono che chiamava i numeri di emergenza. La voce di Alessandra, “tra 10 minuti son da te“, la crepa sul vetro a dirmi che non potevo trovare sottotitolo migliore.
Chiuse in cucina, la mia amica che mi prendeva tutta era spaventata ma non scappava mentre urlavo “me l’ha rotto, m’ha rotto il cuore! come cazzo lo aggiusto ora, COME?!“. Le lacrime sulla sigaretta.
729 giorni, tanti ne son passati. è il tempo che ci vuole a capire che il cuore non è come la ceramica, che a volte basta la colla giusta e tutto torna come nuovo. Per fortuna però non è neanche come il vetro, che una volta crepato non resta che cambiarlo.
Il cuore è un muscolo, ha bisogno di stare fermo per un po’. Ci vuole pazienza, tanto scotch, tanto amore ed esercizio perchè torni a funzionare. Ma quando torna ci si rende conto di aver imparato tantissimo anche dalla convalescenza e allora ne è valsa la pena.
Ho ripensato a questa storia pochi giorni fa, quando m’è venuta la voglia di raccontarlo ad un amico. La faccenda della crepa veniva dopo il racconto di tutto il bello che l’aveva preceduta. Il tonfo dopo il volo, l’atterraggio di fortuna. è un salto che ho fatto scentemente e che non rimpiango in nessuna sua parte. Pensavo che sarebbe servito al mio amico anche se in realtà non serve a nulla che ti dicano che ci si può buttare se per primo pensi solo a quanto male ti farai cadendo. Ci si deve buttare convinti che si volerà ed eventualmente cadere e vedere come rialzarsi. Perchè il succo del racconto era che COMUNQUE NE è VALSA LA PENA.
bellissimo, bellissimo
le crepe nel cuore sono in realtà le nostre migliori risorse: ci ricordano che siamo esseri umani—