succede così: sei in vacanza, placidamente spiaggiata sugli scogli di una qualunque caletta delle Eolie. la tua unica preoccupazione è data dai sassi che ti si conficcano maldestri nelle scapole e nelle chiappe. per il resto impieghi il tempo alternando i momenti in cui ti ungi come un maialino allo spiedo a quelli in cui ti immergi come una bustina di tè in quelle acque limpide e fresche. oggi è l’ultimo giorno e si sente: avete quasi finito le parole, tu e le altre. leggete distratte ed esauste i vostri romanzi facili. domani si torna, con il confortante pensiero di avere ancora ben 3 settimane di ferie, da sfruttare sulle spiagge domestiche e nei locali della riviera.
i tuoi domani partono per l’ennesima isola greca, regalandoti così un istmo luccicante di questa morbida spensieratezza, ad allungarsi nella routine domestica. è tutto perfetto. domani taxi, aereo ed ad attenderti l’auto di papà all’aeroporto. guidare fino a casa e correre tra le braccia del nuovo venuto, a rotolarsi tutta la notte, che per dormire avrai tempo domani, sulla brandina della tua spiaggia sabbiosa e grigiastra.
la tua meravigliosa esistenza perfetta. ‘finalmente‘ pensi, che è stato un anno difficile e non ti piace far preoccupare tua mamma che ti vede piangere e non ha il coraggio di chiederti. è questo quello su cui rimugini, mentre hai i Marta sui Tubi nelle orecchie e Woland sulle pagine. mentre una donna qualunque, ad un incrocio qualunque del tuo quartiere qualunque salta uno STOP, distratta da una telefonata qualunque e squarcia una serie di vite qualunque: le vostre.
è davvero successo a me. erano mie le chiappe che lottavano con i sassi, miei i piedi taglia 41 infilati nelle scarpette anti scoglio. la lesione spinale è toccata a mia mamma. è uno tsunami, un terremoto, un disastro ambientale. non cambia molto. io ho una colpevole è vero. ma non ricorderò mai il suo nome e non perchè sia straniero. semplicemente perchè sarà sempre, per me, la Maledetta. non fa alcuna differenza ricordarsi il nome.
per un bimbo di Haiti, la Maledetta è la terra che trema, gli sgretola la casa e gli uccide la madre. per me la Maledetta è una che parla al cellullare e non rispetta uno STOP. non fa alcuna differenza.
è che poi, giorno dopo giorno, mese dopo mese, la Maledetta diviene un ricordo o poco più e quel che resta nitido è lo squarcio. come un muro che crolla. e tu sei lì che guardi le macerie e per interminabili giorni non riesci a vedere altro. fissi quel cumulo di polvere e pensi a quello che era. non alzi lo sguardo da lì. entri ed esci dalla stanza con la mente sempre, costantemente focalizzata lì. non c’è dolore che regga, non sai fare altro che guardare lì. inizi a portare via i macigni, spazzi per terra, arrivi persino a dare lo straccio. sempre alla ricerca di un moncone di quel muro che è crollato.
fino a che arriva un giorno e tu, stremata, ti butti a terra là dove una volta c’era il muro. ed è da lì, da quel pavimento lustrato che la vedi. una stanza segreta. un posto della tua casa che non hai mai visto. ne sospettavi l’esistenza ma hai sempre accuratamente allontanato il pensiero, che di buttare giù quel muro hai sempre avuto una paura fottuta. semplicemente non ci pensavi, sceglievi di guardare altrove. e invece eccola. la stanza senza porte e senza finestre rinchiusa nel cuore della tua esistenza che viene finalmente alla luce. e da quando la vedi sai che non potrai mai più far finta che non esista. sai che non riuscirai ad erigere muro abbastanza spesso per far sì che tu te ne dimentichi.
lei c’è e tu ora lo sai. cos’hai intenzione di farci? trova la risposta.
Pingback: check check prova « galleggiante
Pingback: 17 agosto – Cioppy Day « galleggiante