riconoscersi

FFSC’era una volta una studentessa in jeans e camicetta che vagava per i corridoi della Facoltà di legge. Non sapeva bene chi fosse ma iniziava a credere di sapere cosa non volesse essere: una che studia solo il libro.

Sembra un inizio banale e di certo lo è. Ci sono montagne di film adolescenziali che iniziano così e finiscono con un limone plateale. Questo film no, questo film non ha una fine.

Ci pensavo due giorni fa sotto al palco dei Franz Ferdinand e degli Sparks, magicamente fusi in F.F.S.
Ci sono tante cose a cui pensare quando una persona che conosci da quasi 10 anni ti afferra per mano e ti fa attraversare 400 metri di folla con la facilità con cui il grissino rompe il tonno per portarti sotto ad un palco gigantesco a vedere una cosa gigantesca.

Principalmente pensi che quella persona lì sia parte della cosa che più ha determinato quella che sei pur non avendo nulla a che vedere con la musica, i palchi e le autostrade.

John lecce

É così. Prima di Roma e delle trasferte nei club, prima di Bologna e dei Regaz, prima delle amiche della vita e dei PASS stampa, ma anche prima di Imola, Innsbruck, delle cliniche, dei compleanni in autogrill e della neve in autostrada.

Molto prima di tutte queste vite che mi porto dietro ce n’è un’altra che non mi abbandonerà mai. Forse quella che ha determinato chi fossi, proprio mentre mi aggiravo annoiata per i corridoi di Facoltà, chiedendomi se davvero tutto si dovesse risolvere nello stare il più tempo possibile sui libri. La più enorme delle risposte alla fine era composta da 4 lettere: ELSA.

Entrare a far parte di un’associazione è una di quelle cose che i più considerano l’inizio di un percorso che se non lo è già, inevitabilmente diviene politico. Vedendomi ora, potrei persino dargli ragione. Ma il punto è un altro: ELSA era un’altra cosa.

Era come riconoscersi, finalmente, tra persone che non finivano di identificare se stesse nel libretto universitario. Perciò andava bene studiare ma anche festeggiare andava preso maledettamente sul serio.

mai sobri

Essere quelli che chiudevano i locali ma la mattina dopo andavano a lezione. Ricordo la sera prima della laurea triennale di essere rimasta a ballare fino all’alba con dei compari palermitani: “Tanto ci laureiamo al pomeriggio…“.

Era aprire i confini. E dal centro di una Urbino magica e brulicante imparare a conoscere e apprezzare modi e tradizioni di posti che mai mi ero domandata come fossero. Uscire con gente di Palermo, di Ischia, lucani, abruzzesi,… per poi scoprire che ELSA esisteva un po’ ovunque nel Paese e che di gente e posti da conoscere ce n’erano a bizzeffe.

Dieci anni dopo ci sono poche persone che sono sopravvissute all’esame del tempo e, per assurdo, più delle compagne di corso ci sono gli elsiani sparsi per l’Italia a ricordarmi come ero. Perché portare dei toscani a ballare a Roma, andare a Palermo a conoscere una bimba di 6 giorni, vedere la finale di Coppa Italia a Mergellina o ballare sotto il palco dei Franz Ferdinand a Treviso rientra tutto nella straordinaria eredità di quegli anni.

John FFS

L’anno scorso un ragazzo con cui uscivo mi rimproverava di avere troppi amici sparsi per l’Italia. “C’è un posto in cui non hai amici?” mi chiedeva. Lui era romano e forse quella città lo aveva viziato un po’, facendolo crescere interessante e culturalmente ricco ma non abbastanza curioso verso ciò che fosse altro da Roma.
Io avevo srotolato la solita spiegazione, quasi a dovermi giustificare del mio essere così: l’incidente di mia madre, la città troppo piccola, la professione che non volevo, la musica, il blog, i concerti qua e là.

Ma non è così. Mi è venuto in mente l’altra sera mentre ridevo con John e cercavo le differenze con il ragazzo conosciuto anni fa a Lecce. Prima di tutte quelle cose lì, io ero già una che prendeva treni e aveva amici ovunque. Ero una che riusciva ad essere felice realizzandosi non solo sul lavoro.

Dieci anni dopo sono ancora così e le persone che frequento continuano a rispecchiarmi, per fortuna. Quanto agli altri… continueranno a sottovalutarci e a doversene pentire. Peggio per loro.

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