il tarlo

“Io davvero non lo so come fai a vivere in una metropoli…”

Ecco, è successo di nuovo. Molto tempo e molti chilometri dopo, basta che uno mi s’infili nelle mutande e ‘sta domanda diventa kriptonite. Che poi è un classico, in fondo, che se lo lasci infilartisi nelle mutande è per destabilizzarti, o così speri.

Piccoli sismi emotivi cercasi.

Magari ci riuscissero tutti… Non esisterebbe più l’impotenza. Che è quella la vera impotenza: l’incapacità di scuotere e lasciarsi scuotere. Ma le definizioni le affidiamo sempre alla scienza così che possa fornirci anche la pillola adatta. Dicevo? Ah, sì, anni dopo, la stessa domanda. Una differenza c’è: la tua non era una sfida. Che rispetto a Mr. Brianza, di te tutto si può dire fuorché che te ne stia inchiodato al tuo orticello. Comunque, torniamo a noi, che qui si parla di me, non di te. Mi è rimasta dentro e ci ho messo un mese e più per una risposta che avesse un senso. Che quella che t’ho dato, dai, che cazzata! Non c’ho creduto neanche il tempo di dirla.

“Il mio lavoro lo posso fare solo a Roma”

Il mio lavoro non esiste, me ne rendo conto ora che un manipolo di colleghi sta imbastendo una improbabile lotta di classe. Non sono una krumira, ci mancherebbe, non fosse altro perché vengo dagli sport di squadra e so cosa significhi perseguire un obiettivo comune. Il problema è che davvero il mio lavoro non esiste. Non c’è una formazione minima richiesta per svolgerlo né esistono delle mansioni omogenee che lo identifichino.

Sto diventando noiosa…

Comunque il mio lavoro è rendere facile il lavoro di un’altra persona. È indissolubilmente legato al destino politico di qualcun altro. Dire che questo sia il mio lavoro è un po’ come pensare di superare l’inverno con una scatola di cerini. La piccola fiammiferaia avrebbe molto da dire al riguardo. Il mio lavoro è la scatola di cerini. Se lo usi bene, raccogli il materiale per il miglior falò della storia. Anche i miei colleghi sono una massa di scappati di casa, né più né meno di me. Ma scappata da che? Quello è il punto. Mi è tornato in mente, l’Universo, Dio o chi per loro da qualche tempo non fa che risbattermi in faccia quello che ho passato. Quella che sono. Che per me venire a Roma è stato anche un po’ staccare quella spina, smettere di pensarci. Perché quando ti trovi immersa nella merda fino al collo e anziché salvarti ti volti e ti immergi per salvare chi nella merda c’è rimasto sotto, beh, alla fine vuoi solo una doccia.

Ecco. Il primo anno a Roma è stato la migliore delle docce.

È riuscito persino a farmi male, di un male nuovo, più intimo, facendomi sentire anche fragile, insicura, a tratti inadatta. Poi però è tornato tutto, come un orgoglio personale di chi ne ha passate talmente tante che una metropoli che vuoi che sia. E la tua domanda non è senza colpe. Mi è venuto il dubbio, che io a Roma che ci sto a fare? Mi viene in mente ogni volta che torno a casa e mi annoio ma non so nemmeno spiegare il perché. Non è che a Roma io stia facendo chissà ché, lavoro a parte, ovvio, ma di quello ho già detto abbastanza. E allora? Ho la mia casa, le mie abitudini, le mie tisane e il mio pane ciociaro a colazione. E’ una vita che potrei fare ovunque, in effetti. Poi se ne è uscita la Spora con il post sulle bollicine. Lei la stimo tantissimo, perché, anche se ci piacciono cose diverse, finiamo per avere in comune la voglia di felicità. E non è poco. Ci ho pensato, a lei che dentro la TAC piange e capisce che vuole essere felice, ingozzarsi di Vita e Felicità come se non ci fosse un domani. Io quel momento lì l’ho vissuto quando sono entrata in rianimazione, con tanto di camice e mascherina, per fare la manicure a mia mamma e toglierle sangue ed asfalto da sotto le unghie. Che non lo so cosa mi abbia tenuta in piedi.

Ma so cosa ho scoperto di volere: Vita e Felicità a crepapelle.

Non lo so che cosa sta succedendo, non ha senso che torni a parlarne così spesso, che mi torni tutto in mente in una volta. Forse è perché mi sono liberata dell’unico uomo a cui ho permesso di darmi della viziata, forse sì. E’ un errore che non voglio commettere mai più. Però mi è venuto in mente che io a Roma non ci volevo vivere, io volevo vivere a Bologna. Ero persino disposta a fare l’avvocato, se fosse stato a Bologna. Volevo Bologna con tutta me stessa e ora come può andarmi bene essere a Roma?

Roma è l’opulenza, lo splendore, la magia.

Roma è una matrona appoggiata su un fianco che ti invita ad unirti a lei per cena. Una cena da stesi. Ora ho quella risposta, ci ho messo una vita ad arrivarci e qualche mese a formularla. Nella straordinaria storia d’amore con me stessa che sono stati gli ultimi anni, Roma è il mio buffet di nozze, la mia luna di miele, il mio party sfrenato. Non sarà per sempre, ho bisogno di vivere in un posto dove le cose succedono e le persone hanno un valore.

Ma non ora, ancora voglio festeggiare.

E stasera Damon Albarn me lo vedo con questo pensiero qua.

Un pensiero su “il tarlo

  1. è Roma, semplicemente lei, e sei tu, semplicemente voi insieme, pronte a vivere, perché tu sia felice, almeno un poco e pronta ad esplodere in un sorriso!
    ti voglio bene, Cioppy
    e amo Roma, da sempre, con tutta me stessa…e ti capisco!

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