God save the music!

Questa mattina ho un colloquio nella città dei miei sogni. La mise collaudata concilia la femminilità, le esigenze formali, il bon ton e le distanze da percorrere a piedi. Stanislavskij fa il resto, me ne accorgo guardandomi ordinare una brioches integrale al miele, la colazione frigida ma sostanziosa della donna in carriera.

Mi aggiro con quella maschera paracula che mi monto in faccia quando fingo di non sapere che la gente mi nota. Per non sbagliare ancheggio come non ci fosse un domani: mi guardo intorno sognante e avanzo marziale. Mi faccio paura da sola.
La strategia per non sentirsi ridicola è dare sempre la colpa al ruolo, alla divisa da avvocato, quel misto di outfit e atteggiamento che è inconfondibile pur essendo impossibile definirlo. Io la chiamo scopa in culo, altri spocchia o addirittura superbia. Qualcosa che non vedi ma c’è, anche se indossi una giacca di Zara e un sorriso dolcissimo, come la collega forlivese che mi sedeva di fronte in treno. Non ha detto nulla, ha parlato di iPhone e applicazioni tutto il tempo, ha riso con l’amica ma sia io che lei sapevamo di essere colleghe. Facilissimo.
Ogni tanto spero che non sia così, spero di sbagliarmi. Mi dico: “Dai, magari non sono avvocati… hanno le hogan, la shopping di Luis Vuitton e sono sfrontate, ma magari sono…” però poi non trovo mai un’opzione valida.
Come se non bastasse prendo un caffè con un amico che un po’ ride vedendomi “ah, beh, proprio avvocato oggi!”. Ci sta, lo incontro ai concerti di solito, in shorts e converse, penso che sia solo per il vestito. Ci sediamo fuori, fumiamo. Arriva una ragazzo africano, di quelli che chiedono qualche spicciolo.
– Capo, un caffè me lo paghi?
– No, mi spiace – risponde lui.
Avvocato, tu?
C’è poco da fare, è la lettera scarlatta che la giungla delle Corti ti marchia addosso, senza nemmeno farti troppo male. Non subito per lo meno. Brucia se e quando ti rendi conto che è una spocchia del tutto ingiustificata. Che non vali un cazzo, che sei solo parte di una classe di peracottai che lotta per azzannare le briciole lasciate da uno qualsiasi dei mostri a nove teste che i più chiamano Prìncipi del Foro. Non esistono più, per intendersi. Sono prìncipi, ma dell’ostentazione. Ben presto, se non stai attenta, lo diventi anche tu. Intanto la lettera scarlatta ce l’hai già.

Arrivo in anticipo, guardo il citofono: so dove sono, posso fare una passeggiata. Gironzolo nella mia zona preferita, quella tra il Tribunale e Nettuno. Mi concedo un caffè in un bar affollato di colleghi. Lo so, sembra strano, ma in quei posti mi ci sento a casa, so come funzionano e anche da sola non corro il rischio di dare troppo nell’occhio. In fila per il bagno arriva un signore, palesemente NON avvocato. Avrà forse 45 anni portati molto male, vestito in maniera umile, gli manca qualche dente. Nel taschino del gilet sportivo ha un mazzolino di fiori di campo.
– C’è fila? – mi chiede – Che bella signora che è lei…
è molto garbato, genuino. Sorrido mentre lo ringrazio.
– Di dov’è lei?
– Sono marchigiana. – credo sia la prima volta nella vita che mi definisco marchigiana, che strano…
– Le regalo dei fiori – mi sorride sdentato e mi porge le margherite gialle – li metta in un libro a seccare, le fanno da segnalibro. Le piace la lettura signorina?
– Sì, molto, anche se non leggo abbastanza. – mi sento in debito di gentilezza, così faccio una domanda anche io – E lei cosa fa?
Sono musicista.

Il bello di essere me è che, non importa quanto netto sia il marchio a fuoco dell’ordine forense, ce n’è sempre uno molto più netto: quello bohèmienne. Grazie al cielo.

2 pensieri su “God save the music!

  1. emozionante, quasi teso in quella normalità che cresce nel moltiplicarsi di avvocati virali, poi finale lampo e colonna sonora del Mirkofratello perfettissima, come il giallo che sbuca all’improvviso ed è tutto un vento sulla faccia….uòu!

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