17 agosto – Cioppy Day

CONTINUERAI A FARTI SCEGLIERE O FINALMENTE SCEGLIERAI?

Il 17 agostodel 2009 stavo lasciando l’isola di Salina. Avevo stipato in valigia qualche chilo di capperi, un abito di lino trasparentissimo e degli orecchini di corno, nel tentativo di portare con me un po’ di quella terra.

Non avevo notizie dai miei che pure dovevano essere già in viaggio per le isole greche: iniziavo a preoccuparmi. Poi ho saputo che mio padre aveva avuto un imprevisto sul lavoro che non gli permetteva di partire. Ci avevo creduto davvero poco: sono figlia di un uomo che vive nell’attesa delle vacanze, le programma, le pregusta, non ci rinuncerebbe per nulla al mondo. Ero preoccupata ma nessuno mi dava spiegazioni, a malapena mi rispondevano al telefono e quando lo facevano era per mentirmi. Ci sono poche persone che sanno esattamente cosa mi sia girato in mente in quelle ore, perchè ancora a tratti mi si gela il sangue al solo ricordo. Il fatto è che arrivata all’aeroporto avevo la certezza che fosse mia madre. Cosa non lo sapevo ancora. Poi ero andata in bagno con il cellullare, che non riuscivo a lasciarlo, e quello era squillato mentre mi lavavo le mani, anche se ero sotto terra. Infilato tra spalla e orecchio, mi sciacquavo via il sapone e già le lacrime ribagnavano tutto quanto.

Il corpo è un vestito di una taglia enorme e il gioco della vita è arrivare a riempirlo, crescere a sufficienza per arrivare a sentire DAVVERO le dita delle mani, la pelle dietro le guance, il terreno sotto le palme dei piedi. A Salina io c’ero, con un cumulo di bugie e di bluf incredibili, ma c’ero. Ero proprio lì dentro il mio vestito che mi calzava a pennello, lo riempivo, protesa verso un mondo che non mi spaventava. Con quel telefono in mano sono sparita, in quel preciso momento tutta quella che ero è crollata, s’è ristretta ad un minuscolo puntino al centro della pancia e non vedevo più, non sentivo più, non so nemmeno come camminassi.
Raccogliere quel che restava di me è stata parte del lavoro fatto in questi 3 anni. Ritrovarmi sotto le macerie, provare a rigonfiarmi, poco a poco. Un lavoro che mi ha inevitabilmente portata a buttar via tanto di quel che ero. Anche tante persone. Non so quanto sia casuale il fatto che abbia cancellato l’intera rubrica del telefono, perdendo un’enorme quantità di numeri che non usavo più.

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Tre anni dopo ero in vacanza di nuovo, in una spiaggia diversa, con una di quelle amiche che non solo sono sopravvissute al repulisti, ma che vi hanno contribuito, faticando con me. Ci pensavo mentre ci scattavo questa foto. Pensavo anche che c’erano tutti gli ingredienti perchè stesse succedendo qualcosa di tremendo a casa. Ho avuto paura di scattare. La paura è come un herpes, una volta che ce l’hai, ogni tanto ritorna. Ma poi l’ho fatto.
Sentendo il sole su tutta la pelle e la voglia di prendere in mano la mia vita di nuovo. C’ero, dietro le lentiggini figlie del sole e la gola secca dal caldo, dietro le coscie arrossate e la pancia insabbiata. Ci sono e ora le scuse le ho davvero finite.
La sera ho messo quel vestito e quegli orecchini e ho lasciato che la mia nuova vita prendesse il sopravvento. C’ero talmente tanto che mi veniva da ridere. Anche se non avevo bevuto un goccio d’alcol, anche se Mi sono rotto il cazzo ormai non ha più sorprese, anche se la dub non la ballo mai… c’ero senza SE.

Ho finito le scuse per fuggire, ho finito le scuse per subappaltare le mie decisioni. Il vestito ora mi calza alla perfezione, non ho bisogno di sognare quello di qualcun altro, devo rendere migliore il mio. E ne ho una voglia incredibile.

[ho mentito, lo so, questa è una sdiliquita introspettiva, è vero. ma certe cose sono decisamente inevitabili]

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