quando hai un’infinita serie di nuovi compiti odiosi da svolgere controvoglia, c’è una cosa con cui devi imparare a convivere: il senso di colpa.
per esempio: pantalone da portare in lavanderia prima di andare in studio, ben piazzato sulla cassapanca dell’ingresso. il chè implicherebbe sorgere dal piumone al suono della sveglia, ossia, posta una playlist di 45 minuti come sveglia, sorgere, se non al brano n. 1, almeno almeno al brano n. 2. costringersi ad essere concrete sin dal risveglio. sbrigare in fretta la faccenda colazione e passare il lavanderia al massimo alle 8.40. questa la teoria. nella pratica i pantaloni rimangono ad attenderti per una settimana, fino al sabato mattina, momento in cui, dalle 11.30 (orario in cui sei lavata ed infilata in un jeans) alle 12.30 (orario di chiusura dei negozi) speri di risolvere tutto ciò che ti sei lasciata alle spalle dalla domenica precedente e, finalmente, metterlo a tacere, quel dannato senso di colpa!
la cosa principale che ti riesce impossibile è cucinare le verdure. sì, perchè, passi la lavanderia, la farmacia, la profumeria, la banca, i detersivi, la sarta… passi tutto, ma tu, nella tua dieta, hai bisogno del contorno. tu sei figlia della dieta mediterranea e del centro Italia. tu vivi costantemente con l’olio d’oliva, l’insalata o delle verdure di stagione a chiosa di un pasto equilbrato. tu sei figlia di una donna che mai, e dico MAI, ti ha fatto sedere a tavola senza almeno un piattino di zucchine trifolate, melanzane al funghetto, bietole bollite, cavolfiori ripassati in padella,… o quant’altro potesse essere verde, sano e di stagione. e alla fine tu sei una che certe cose le adora. sì, cioè, non è che te ne devi vergognare… ti piacciono le verdure!
chepperò vanno acquistate, poi pulite, lavate e bollite. in eccezionali casi di acuta libidine vanno anche ripassate in padella con il sapiente spicchio d’aglio e una qualche erbetta profumata. e, diciamocelo, non hai più il tempo. inizi a pensare a come cavolo facesse tua madre, la wonder woman con due lavori, le partite di tennis e il contorno ad ogni cena. tu questo pragmatismo non ce l’hai e finisci per cenare con crackers e stracchino, senza nemmeno un po’ di rucola.
questa la situazione sino a che non giunge, inaspettatamente, in tuo soccorso la Megera, che per l’anagrafe e per tuo padre è anche tua nonna. una donna invero troppo invadente e snob per essere davvero apprezzata, soprattutto ora che ti rendi conto che nessuno, meno che meno lei, è depositario della Verità assoluta, per il semplice fatto che tale Verità non esiste. e quindi non ti senti poi così in colpa ad essere amica dei gay, dei neri, dei fannulloni creativi e di tutte quelle riprovevoli categorie che la tua progenitrice ritiene poco consone ad una morigerata giovane donna di estrazione medio borghese ed educazione ipocritamente cattolica di cui una nonna possa pavoneggiarsi al circolo del burraco. già le ho sempre reso la vita difficile rimanendo ostinatamente single così a lungo (nonostante i suoi sforzi, aggiungerei).
il fatto è che in questo periodo, la Megera ha davvero -sembrerebbe- voglia di rendersi utile. così ha intessuto uno spaccio di contorni dalla sua cucina alla nostra, fatto di tupperware di ogni forma e dimensione che viaggiano a ciclo continuo tra le due case basi. non più tardi di venerdì è giunto in casa uno scatoloncino ricolmo di ogni genere di leccornia vegetale, con cui sopravviverò una settimana almeno: finocchi grigliati al parmigiano, funghi trifolati in padella, zucchine trifolate, melanzane al funghetto, pomodori gratinati e bietole lessate. un’orgia di ortaggi che mi ha commosso al punto da spingermi a scriverle un sms di festa. prontamente, come incoraggiato da tanto slancio, mi è giunto un invito a pranzo per domenica, visto che sarei stata a casa da sola. consapevole di non potermi sottrarre, non fosse altro per non alimentare ai confini dell’obesità il senso di colpa, ho accettato, simulando entusiasmo all’idea di dovermi svegliare a mezzogiorno e pure vestirmi decorosamente anzichè restare in stato vegetativo sino al calare del sole, in una epocale domenica di nulla.
e così è stato. sveglia a mezzogiorno spaccato, viso pulito, capelli raccolti. un tè verde al volo che alla fine, la sera prima erano le 4.00, sobria, certo, ma comunque era più mattina che notte. apri l’armadio e con grande scaltrezza scegli jeans e giacca di velluto, che la nipote avvocata riempie sempre di orgoglio la mia sponsor. ore 13 e zerozero sei sotto casa sua, sorridente e armata della biblica pazienza di Giacobbe.è che poi non si è mai preparati fino in fondo.
-dove andiamo a mangiare?-
–all’ex Gamberone! giù al mare– il chè è come dire “in quel locale che negli anni ’60, ben prima della tua nascita, si chiamava Gamberone, da cui si vede il mare, come più o meno in tutti i ristoranti disseminati sugli oltre 4 kilometri di lungomare.” il tempo di percorrere avanti e indietro tutto il viale un paio di volte e già si era parlato di almeno 15 anziane signore mogli/vedove di altrettanti anziani signori e amiche di innumerevoli altre anziane signore che io, ovviamente, non conosco. le quali giovincelle avevano avuto tutte qualcosa di interessante di cui parlare intorno ad un tavolo da carte nell’ultima settimana o, nella peggiore delle ipotesi, nell’ultimo mese, che differenza può fare se ogni discorso inizia con “l’altro giorno parlavo con…” unica nota positiva pare essere che mia nonna sembra aver definitivamente accantonato l’argomento: figli papabili delle anziane signore ignote.
scendendo dalla macchina non si poteva poi non notare che la mia Y “è un po’ sporchina, eh!” e fin qui, in fin dei conti, non è che si possa darle torto, atteso che non viene lavata, pioggia esclusa, da un paio di anni. appena sedute, il fatto che non ci sia un nugolo di persone ad ossequiarla ingenera profondo disturbo, neanche a dirlo. il tempo di attesa per l’ordinazione è decisamente troppo lungo anche se, sia lodata la cameriera, il vino arriva a tempi record. e la Veneta, si sà, apprezza anzichè no il succo d’uva. è la volta della conversazione. lo zio gay che alla fine, dopo gli unnumerevoli paletti che le pongo con il sorriso, non si può che risolvere essere uno spreco, perchè è così un bell’uomo… la zia divorziata che, ah, lei lo sa, di certo c’ha un altro, che tanto è sempre stata tremenda, a correre dietro agli uomini sin da ragazzina… di non so quale giocatrice di burraco che è una pignola e si è permessa di riprenderla per il suo disordine…
il vino nel frattemo è raddoppiato e io mi sono magicamente calmata, ormai sono narcotizzata e passiva dinanzi a tutti quegli sproloqui. evito persino di reagire quando chiede ai vicini una valutazione della loro frittura di pesce. la signora, cortesissima, finisce il calamaretto e le risponde che è deliziosa. noi siamo al caffè, nel frattempo. sembra che ci siamo, siamo alla fine di quelle due ore di martirio, non mi pare vero. in fin dei conti ne sono uscita con classe, ho mangiato bene… si, ok, sono ubriaca ma posso tranquillamente svenire nel letto un paio d’ore che non mi corre dietro nessuno.
e poi, la bomba.
ennesimo nome di donna non consciuto, ennesima professione vaga e non identificata, ennesimo mio “non so chi sia…” ennesima risposta: “è la nuova compagna di Giancarlo…” ALT!, Giancarlo l’ho sentito già dire… “ha 25 anni più lei,figurati… cosa vuoi che ci faccia con una così giovane…” mentre guido verso casa sua mi sale una domanda in più, che mannaggia a me… “quanti anni ha Giancarlo?” “ne ha 80, figurati! chissà con questa che ne ha 55… a me diceva che vedeva già il nostro futuro, ma di erezione non se parlava, eh! e allora checcifaccio io?!“
non mi è mai scesa una sbornia così in fretta.
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