Dopo un venerdì santo fatto di romagna, Brunori sas e una via crucis di gin tonic e lustrini; dopo un sabato pieno zeppo di elettropop, orsetti alla vodka, black russian nelle tazze del tè e segreti snocciolati come mentine; dopo l’alba tersa e l’autostrada vuotissima; dopo una giornata di cibo, sonno e acqua,… è arrivato il Lunedì della Rivelazione.
Io e G. ci siamo conosciute all’università. Lei è una delle giuriste più preparate che conosca: ha il diritto penale nel sangue. Non è una secchiona, è proprio una ragazza inteligente. Non a caso facevamo entrambe parte di quella ristretta cerchia di donne competitive sia al bancone del bar che al banco degli esaminandi. Ci siamo laureate ad un giorno di distanza, lei cum laude, io quasi. Abbiamo condiviso lo stesso identico percorso fatto di sfruttamento, povertà, clima del terrore e umiliazione che è stato il biennio di pratica forense.
Per avventura (e per merito) abbiamo superato insieme l’esame di stato, prima lo scritto, poi l’orale. Ora ridendo ci chiamiamo “colleghe”. G. ha giurato, io no. Il chè significa che lei è avvocato io no, non propriamente. Non ho pagato un’iscrizione ad un albo, non ho in programma di aprire una partita IVA nè di iscrivermi allo stillicidio della Cassa di Previdenza Forense. In poche parole non voglio fare l’avvocato. Fino a poco tempo fa era la cosa che ci distingueva.
Io ho un titolo, una laurea, un certificato d’inglese, uno di PNL e un’esperienza nell’associazionismo internazionale che mi ha formato più di certe materie studiate per inerzia. Lei ha un titolo, un erasmus, un certificato d’inglese e una preparazione impressionante. Entrambe abbiamo delle vite che ci hanno insegnato più di quanto avremmo voluto.
G. ha un lavoro presso uno studio. Vive in città, lontana da casa dei suoi, ha trovato un bilocale carino e lo paga con i 500€ che il suo capo le da finchè sarà in prova.
Ieri sera, G. è esplosa in un’analisi di una lucidità dilaniante, che se avessi potuto viaggiare nel tempo l’avrei portata sul banco del Colloquio di Orientamento Professionale, davanti a quelle studentesse in unghie finte.
“Io mi sono diplomata con 100, ai tempi in cui le banche ancora telefonavano a casa a chi si diplomava con 100. Se avessi accettato, a quest’ora mi ero pagata la casa: son passati 10 anni. E invece no, ho voluto studiare! Con un’università che se passa un gatto ed è del colore giusto, prendi la lode. A studiare esami fondamentali sulle dispense, che ora che mi serve come il pane sapere procedura civile, me la devo ristudiare da capo, che rischio il posto ogni giorno. E invece mi son laureata con la lode, che han buttato fuori cani e porci da quella facoltà. E poi ho insistito, imperterrita. Ci siamo illuse di poter in qualche modo ambire a qualcosa di migliore, di più stimolante. Ci siamo rette in piedi a stento, sulle spalle delle nostre famiglie per inseguire la convinzione che questo lavoro in qualche maniera ci avrebbe salvate dalla monotonia, ci avrebbe premiate davvero. Le vedi quante sono? Quante sono quelle brave? Il mio capo, lei è mostruosa, non brava. Ma cos’ha? Non ha figli, non ha una vita, vive solo ed esclusivamente del lavoro. Che razza di vita è? Le altre, quelle che poco poco cedono ai figli, alla fine non ce la fanno mica a mantenere lo studio. Le aiuta il marito.
Ci hanno fregate. Un titolo professionale per cui abbiamo sputato sangue che vale NIENTE. Sai quanto si prende, quando ti va bene che ti pagano qualcosa? 1000€ fatturati! E non hai una vita, non hai tempo libero, non hai gratificazioni. Le segretarie prendono 1200€ netti al mese, con i contributi e la quattordicesima. E se il venerdì sera una cosa non è finita, la finiranno lunedì mattina. E possono permettersi un paio di scarpe o di avere dei figli, se mai li volessero. Avrebbero la maternità, i permessi pagati. Noi non abbiamo nulla di tutto ciò. E nemmeno la capacità economica di potervi ovviare.
Non dovevamo studiare, non conveniva, abbiamo sbagliato. Oppure se proprio dovevamo, fare una di quelle facoltà che ti danno lavoro subito: fisioterapia, per esempio. Lavorano tutti, sono bravi, entusiasti. Dovevamo ragionarci prima. Non seguire il sogno, la vocazione, le doti personali… Oppure andare a lavorare. Avevamo questa ambizione di non voler vivere una vita in funzione dei figli. Non ci bastava. Non avevamo famiglia e non volevamo fare le donnette che pensano solo a trovare marito. Ecco, brave! Allora facciamo le donnete che pensano solo ad arrivare a fine mese. Che se stessimo parlando di fare a gara tra chi fa più miliardi… alla fine ad un certo punto potresti fermarti, una volta arrivata allo stile di vita dignitoso che ti si addice. E invece no. Qui è una lotta tra poveretti. Una professione totalmente inflazionata, bistrattata, priva di soddisfazione, che cannibalizza la tua esistenza e in cambio non ti da nulla. Non dovevamo studiare. Che adesso, siamo anche fuori età per l’apprendistato, quindi a far le segretarie non ci prendono.”
Eccola. Questa è la mia generazione. Queste sono le riflessioni delle 30enni di oggi. Il mio cuore di sognatrice disoccupata si è spezzato in mille pezzi a sentir lei parlare così. Perchè a fare le segretarie si vive meglio. E non ci credevamo, ma in questo Paese è così che si sta. Quale futuro può esserci per una civiltà in cui la cultura ha un prezzo altissimo che non viene mai ripagato? Una volta credevo che certe domande valessero per le zone disagiate, sai per quelle in cui la delinquenza minorile sottrae i ragazzi dalle scuole per dei soldi facili. Mi chiedevo con che stimolo, una volta toccato con mano il benessere offerto dall’illegalità, la società potesse riuscire a riportarli a delle vite oneste, faticose e sottomesse.
Laurearsi, specializzarsi, credere di poter con le proprie risorse ottenere più che da un posto fisso, però, non è esattamente come darsi allo spaccio o all’estorsione. Eppure, sapendo quel che so oggi, io non lo so se le avrei ancora quelle ambizioni lì. E a pensarci, è una cosa di una tristezza infinita.
.” Quale futuro può esserci per una civiltà in cui la cultura ha un prezzo altissimo che non viene mai ripagato?” non ne ho ancora 30 😉 ma è qui che mi ritrovo!