– esci un po’ stasera?
– non so se ne ho voglia. mi girano forte…
– perchè?
– perchè non vivo da sola.
solo ad agosto questo può essere l’incipit per tutto il resto, che sia un dramma domestico o un delirio da party in spiaggia.
nessuno dei due, che si sappia. ci si è trascinati fuori da casa. anzi, fuori dal Tempio. è così che chiamo la nuova casa faraonica dei miei. la mie amiche la visitano stupite. loro non sanno che se mai ci verranno a cena saranno precedute e seguite da raccomandazioni, vigilanti, dettagliati racconti e report di quanta sporcizia-fumo-rumore sappiano fare le mie invitate. sono spietata? sarà che non è casa mia. l’intestazione in questi casi ha una rilevanza determinante, non solo per il fisco.
il fatto è che di ferie ne ho dedicate troppe a questo trasloco. sono cose che capitano quando si ha una madre invalida. già. è il momento di iniziare ad usare quella parola. il problema essenziale è che ho bisogno di un covo e una casa di 3 piani sa essere sempre e comunque troppo affollata se stai cercando di capire che direzione dare alla tua vita. oggi era così. ti chiama un’amica per farti un saluto e la tieni un quarto d’ora al telefono a sfogare una rabbia che non ricordavi quasi di avere. il fatto che domani non riesca ad andare a Bergamo ha anche questo le sue colpe, diciamo. ma è andata così, ormai bisogna capire che troppi programmi portano ad altrettante delusioni.
fatto sta che sono uscita a forza, praticamente tirata fuori dall’amica meno in forma della storia che bramava della compagnia. la cena non sembrava invitante. mi sono anche truccata poco. però me li sono imposta. ho guardato le scatole lì, tutte belle allineate sul fondo dell’armadio e ci ho letto FIORE scritto a pennarello. i miei sandali preferiti: 10 cm di tacchi a spillo, listini di pelle bianca e un fiore colore ciclamino. Sì, se devo soffrire che sia per i piedi!
e così il mio abito preferito e i miei sandali da Barbie ci siamo portati fuori.
poi è successa la Magia. di quelle magie che succedono quando i legami sono autentici e per riaccenderli basta un nulla. un sorriso, un caffè, qualche racconto ben circoscritto. e in un nulla eravamo in collina, seminate le sonnambule meno complici, a sorseggiare un drink distrattamente ed altrettanto distrattamente a darci dettagli e fornirci chiavi di lettura nuove. placare la rabbia con poche parole. tornare al Tempio sulla cima dei tacchi faticosamente tenuti ai piedi nonostante il cambio rasoterra pronto sul sedile posteriore. alzare gli occhi al cielo e vederle, splendide e sempre sorprendenti, le stelle sopra questa collina che imparerò a chiamare casa. sorridergli e sentire la volia dei tasti sotto le dita.
finalmente.