redenzione/perdizione

l’alba del giorno dopo arriva sempre più di una volta. arriva prima che sorga il sole, quando nel cuore di una notte troppo pensierosa sei sveglia al buio e sei tentata di comporlo ancora, quel maledetto numero. arriva quando a metà mattina il telefono di casa squilla e tu lo maledici, sapendo che è lei, la Megera, che se non fa la stronza di sabato mattina non è felice. e poi la chiave che gira nella porta e tuo fratello approda a casa e ti riporta a quelle che sono le cose che ti sei lasciata da fare. in realtà continua ad arrivare per tutto il giorno, mentre ti aggiri nervosa per casa, andando e venendo dal pc con la sola preoccupazione di sapere perchè ancora, dopo due anni, non riesci a capire com’è fatto.

è che dopo due anni, farsi sfuggire l’occasione di vivertelo per un po’ ha un mare di altri significati. su tutti forse la cicatrice che ti è rimasta, non volendo.

così, quando compare e si gongola provocatorio per l’ennesima vittoria, ti viene solo voglia di baciarlo e alla fine dei conti ti risolvi che ti odi ma non puoi farci nulla se lo vuoi così. e ti picchieresti perchè lo sai di essere una stronza, di quelle della peggior razza, di quelle che non se ne rendono nemmeno conto ma poi pensi anche che ogni tanto potrebbe lasciarti vincere che di due di picche te ne ha rifilati molti di più di quanti oggettivamente senti di poter meritare in una vita.

quando a metà pomeriggio pensi di averla riacciuffata, una seconda chance, ti calmi e finisci per riuscire anche nell’intento di sbrigare i compiti del sabato e di goderti quella inaugurazione che sai essere una cosa lontana dal tuo gusto ma che in fondo non vuoi mancare.

così ti ritrovi pronta ed operativa con un largo anticipo sulla serata, perchè, in fin dei conti, hai optato per quella versione di te comoda e collaudata che non devi dimostrare più di tanto, devi solo sentirti sexy e sicura quel poco che basta per non indietreggiare ancora.

è che quando sferra l’affondo, maledetto, dissimulando impegni con le tette dietro ad altro, fa terribilmente male alla fragile serenità che hai recuperato con le unghie nel corso di tutta la giornata.  come se vincere non fosse abbastanza… e tu con le ciglia lunghe e gli orecchini ai lobi ti ritrovi sciolta sul divano, destrutturata e priva di qualsiasi voglia di mettere il naso fuori di casa. vorresti le coccole. vorresti piangere. vorresti una vasca di gelato o semplicemente dello stracchino che non sia light.

poi il telefono squilla provvidenziale e di là c’è chi ti dice che dopo cena si va a ballare il rock in romagna e tu pensi che un po’ di pogo e una sudata non possono che farti bene. e poi la meraviglia è che sei anche pronta, già perfettamente a tema: comoda, ammiccante e marcatamente rock. così ti obblighi ad uscire e rimandi l’abbruttimento a qualche ora dopo.

salvo poi vedere miseramente sfumare l’opzione capannone rockeggiante con un prepotente riemergere della classica movida per i circoli cittadini. ed è lì che arriva provvidenziale The Newyorker, appena rientrato a ringiovanire il suo visto in terra patria, che se ne esce con la parola magica che sin dai tempi del liceo è indiscusso sinomino di pulsante trasgressione. e ti si ferma il sangue per un istante mentre, a dispetto della stanchezza, delle finanze non proprio floride e del dichiarato cattivo umore, non riesci a trattenerlo quel “” lascivo e sognante che ti garantisce un passaggio per la perdizione.

e ti ritrovi immersa nelle paiette, nell’ambiguità come regola aurea, nelle sonorità martellanti, negli occhiali da sole nel cuore della notte (che questa è l’unica cosa che non capirai mai, sul serio). e sei come catalputata indietro nel tempo, ai tempi in cui la chimica ti cresceva tutta attorno e resistervi è sempre stata la tua stoica battaglia. e lì, adulta e forzatamente astemia, pensi che sì, in fondo, si può anche sopravvivere senza.

e più che sopravvivvere direi rivivere, redimere ogni senso di colpa, ogni pudore, ogni pensiero vagamente spiacevole. frugare nella grande borsa da escort che non ti separa mai, legare una coda da amazzone sopra la testa, benedire il tuo eyeliner onnipresente e portare in mezzo alla pista il kilt vagamente punk e la t-shirt da rocker. trasformarsi in un pupazzo a molla. ritrovarle le smorfie incontrollabili che a cui ti lasci andare felice mentre in una costante sfida con te stessa ondeggi, rimbalzi, ridi, sei sul pezzo, sudi.

è in quel turbine liberatorio che le senti scivolare sulle gambe accaldate ed avvicinarsi al bordo della gonna. e mentre con finta disinvoltura tenti di riportare le autoreggenti ad un livello meno pericoloso, hai la fugace visione della parte sexy che hai nascosto furbina sotto le pieghe scozzesi. e ti viene tanto da ridere, perchè ora ti è tornato in mente: bisogna essere un po’ pirla a lasciarti a casa!

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